8.0
- Band: KARNIVOOL
- Durata: 01:07:01
- Disponibile dal: 19/07/2013
- Etichetta:
- Density Records
- Sony
- Distributore: Sony
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“Asymmetry” ha debuttato direttamente al primo posto nella chart ARIA australiana. Ma ciò che colpisce ancora di più di un disco prog metal alla prima posizione di una chart così importante è il fatto che, proprio pochi mesi fa, troviamo un altro gruppo, capitanato dal medesimo singer, Ian Kenny. Caso più unico che raro di un artista con due album al numero uno in un calendario annuale, che merita, se non convincimento immediato di qualità, almeno una buona dose di attenzione. Oltre infatti al nuovo “March Fires” dei Birds Of Tokyo, il buon Kenny è ritornato con il terzo lavoro della sua band storica, dopo circa quindici anni di carriera. E’ passato un po’ da quando i Karnivool suonavano le cover dei Nirvana e dei Carcass in uno dei licei di Perth. Son passati circa tre EP e due ottimi dischi, che da un alternative metal degli inizi, mischiato ad un nu metal con venature post-grunge, si è spostato sempre di più verso lidi progressive e architetture complesse. “Asymmetry” è un po’ il disco della svolta, quello che decide il futuro delle band, il punto di non ritorno. “Aum” sembra introdurre un album dei primi Sigur Ros, per poi invece svelare una coltre di intricati passaggi ritmici contornati dalla voce del capitano Ian Kenny, a cui troppo spesso si affianca il paragone con Maynard James Keenan. Il paragone con Tool e con A Perfect Circle è quello difatti più abusato per descrivere la band di Kenny, ma sicuramente non coglie appieno quella che è la proposta di “Asymmetry”, che presenta i Karnivool cresciuti, maturi, capaci sì di suonare partiture sghembe, ma anche di saper articolare un discorso fatto di forma e contenuto, mostrando sicuramente di aver colto le critiche che a loro erano state mosse in passato. Goddard sembra essersi evoluto in maniera esponenziale nella scrittura delle partiture, così come il suono del basso del compagno Stockman, base portante di molti brani del lotto, che assurge a simbolo di semi-perfezione esecutiva quando si affianca alle peculiari ritmiche di Steve Judd. Oltretutto, la produzione dell’album è veramente di alto livello: conferisce al disco anche una sorta di apparente crescita a livello di pulizia di sound e rende efficaci le articolazioni stilistico-compositive che con questo terzo lavoro assurgono a stilema di sound-Karnivool. “Nachash” è infatti una prosopopea sonora a questo discorso. Un’etichetta, se poi la si vuole/deve assegnare, non può infatti prescindere da questo primo ed esplicativo brano, che apre effettivamente le danze di “Asymmetry”. Asimmetrico per eccellenza è infatti il percorso che viene introdotto: architetture sghembe, tempi dispari, voci dilatate e ritmi sincopati si alternano a momenti più fluidi, acustici, evocativi che a loro volta si tramutano in passaggi tirati e accelerazioni improvvise (“A.M War”). Tutto questo era già marchio di fabbrica della produzione della band, ma è come se questa asimmetria venisse in questo lavoro sistematizzata, rendendola più fruibile e più assemblata. “We Are” è esemplificativa per quanto riguarda il discorso di fruibilità, gusto e tecnica. Un giusto compendio, un collante perfetto che riesce a passare dal moderno suono alla Porcupine Tree e affinità con A Perfect Circle, pur avendo una propria personalità che non riduce il tutto a “già sentito”. Non si potrà certo parlare di innovazione, ma questo non può precludere un doveroso apprezzamento per il gusto che questo brano offre esplicitamente. Non a caso, è stata scelta proprio come singolo da cui trarre l’ottimo videoclip firmato Chris Frey, dove una magistrale fotografia anticipa l’apocalisse e la (presunta) fine dell’uomo e l’ultimo passaggio: “These words of wisdom come with lack of vision/ This is the first day I’ve ever had to stand and witness”. Il disco è un disco lungo, non facile, sicuramente. Oltre un’ora di musica, di pregevole fattura sicuramente, ma comunque impostata su un sound fissato che, dopo un po’, potrebbe accusare qualche lieve pecca di pesantezza per i palati più esigenti. E’ anche vero che brani come “Float” possono essere considerati degli ottimi diversivi, pur conservando un fascino impeccabile e rimanendo sempre inquadrati nella coerenza dell’intero lavoro. Stesso discorso per l’ottimo binomio “Eidolon”/”Sky Machine”, con chitarre acustiche che si sposano con quelle distorte in un un matrimonio ipnotico ed evocativo. Questo sound fissato è altresì interpretabile come dichiarazione di intenti, manifesto di uno stile che difficilmente potrà ancora soffrire di paragoni troppo abusati o critiche distaccate. Difficile poter affermare che “Asymmetry” sia tanto meglio di “Themata”, ma sicuramente offre una performance immensamente convincente a prova del fatto che questa sia una delle band fondamentali degli ultimi anni per quanto riguarda la scena progressive e alternative. Ogni fan della band può stringere la mano a Ian Kenny e soci per aver fatto il disco che si doveva fare in questo momento. Per confermarsi e, probabilmente, per consacrarsi.