6.0
- Band: KATAKLYSM
- Durata: 00:45:00
- Disponibile dal: 25/10/2013
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Warner Bros
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Undicesimo album in oltre vent’anni di attività per i canadesi Kataklysm, band che oramai potremmo definire un usato sicuro nel death metal, complice anche l’endorsement della Nuclear Blast Records. Il gruppo, a giudizio di chi scrive, è in declino da anni, ne consegue che l’approccio al giudizio di questo “Waiting For The End To Come” è stato timoroso, come a sentirsi in colpa di una nuova stroncatura nonostante il seguito di cui la band gode. Chi scrive ha flirtato a lungo con la band di Maurizio Iacono, prima fra quelle death metal a dotarsi di un suono di chitarra devastante quando altri gruppi arrancavano negli studio. I primi album poi sono notevolissimi, e anche i primi fra quelli che hanno abbracciato la svolta melodica sono meritevoli della nostra attenzione. Poi il guaio della ripetizione, unitamente alla perdita di ispirazione, hanno fatto precipitare il gruppo nell’oblio. Ma veniamo a questo lavoro. A confortare l’ascolto c’era la notizia dell’innesto del nuovo batterista, Oli Beaudoin, già nei Neuraxis e che ha portato una ventata d’aria nuova stando alle dichiarazioni di Iacono. L’inizio del disco ci ha sorpreso, facendoci riassaporare il gusto di ascoltare i Kataklysm in vena. Sono tutte di buon livello tracce come la veloce “Fire”, scritta appositamente per aprire l’album”, o la hit “If I Was God – I’d Burn It All” che bilancia perfettamente parti veloci a parte melodiche, il trademark che il gruppo ha deciso di adottare dopo la svolta dei primi due album. Si prosegue bene con “Like Animals”, brano dove la verve è ottima, carico di groove e parti di doppia cassa dall’impatto molto diretto. Altro brano tritaossa, tutto blast-beat, è “Kill The Animals” dove il singer Iacono si produce nella classica alternanza growl-scream. Fin qui i brani migliori, sugli altri il giudizio è interdetto. Eccessivamente melliflue per un gruppo come i Kataklysm alcune parti di un pezzo come “Under Lawless Skies”, lo stesso dicasi per la seguente “Dead & Burned”, brani che hanno i classici connotati (groove, growl) in alcune parti ma che in altre non sembrano Kataklysm. Si prosegue così, con l’aggravante della mancata ispirazione per la seconda parte del disco (eccezion fatta per “The Promise”), ne consegue una sufficienza di mestiere, media esatta fra il 7 di alcuni brani e il 5 di altri, per una stasi in casa Kataklysm che perdura oramai da troppo tempo.