7.5
- Band: KATALEPSY
- Durata: 00:50:06
- Disponibile dal: 31/07/2020
- Etichetta:
- Unique Leader
- Distributore: Audioglobe
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Dopo un esordio votato principalmente all’ignoranza e agli assalti frontali (“Autopsychosis”) e un secondo full-length in cui il quoziente tecnico emergeva con più autorevolezza dalle retrovie (“Gravenous Hour”), i Katalepsy trovano la cosiddetta quadratura del cerchio licenziando un’opera, il qui presente “Terra Mortuus Est”, che ne definisce una volta per tutte lo stile e le ambizioni all’interno della scena modern death metal.
Cinquanta minuti di musica all’interno dei quali il gruppo di Mosca, da sempre fra le migliori risposte europee allo strapotere americano di certe sonorità, si impegna a fondo per conferire varietà e fluidità alla sua proposta, riuscendo nel duplice intento di affinarsi da un punto di vista compositivo e sconfinare in territori ora ultra-catchy ora – udite, udite – epici. Il tutto, ovviamente, senza ricorrere alle banalità da encefalogramma piatto tipiche dei filoni slam e death-core, con un dosaggio sempre calibrato dei singoli elementi e nessuna pretesa di essere preso troppo sul serio. In fondo, quello di Igor Filimontsev e compagni è un suono fatto apposta per scandire una sessione di allenamento in palestra, o una passeggiata estiva in canotta, occhiali da sole e pantaloncini da basket; il crocevia a cui gli sguardi di Despised Icon, Hatebreed e Suffocation si incontrano in un’intesa vincente, soffermandosi in questo caso anche sulle copertine di “State of the World Address” e “Vulgar Display of Power”.
L’elemento groove è enorme, onnipresente, e mai come oggi si presta a venire incanalato in strutture snelle e ficcanti che rimandano appunto ai top seller di inizio anni Novanta (l’attitudine stradaiola e cafona di episodi come “Kings of the Underground” e “No Rest No Peace” parla da sola), ma la tracklist non si limita a riffoni su cadenze mosh e break distruttivi. I tecnicismi della precedente fatica non sono stati affatto dimenticati, e godono qui di una produzione più calda e organica che esalta l’effettiva preparazione e padronanza strumentale del quintetto, mentre l’atmosfera riesce a ritagliarsi il suo spazio soprattutto nel finale, con una “Land of Million Corpses” che, fra arpeggi malinconici, crescendo enfatici e spoken vocals, svela una sensibilità tutt’altro che abbozzata o poco definita.
A fronte di quanto detto, l’unico rischio è che i Katalepsy non vengano effettivamente capiti dal pubblico: avulsi dagli stereotipi ‘brutal’ e death-core per fare presa sui fan di Abominable Putridity, Acrania e compagnia rivoltante, decisamente troppo poco ‘trve’ per scacciare i pregiudizi dei death metaller duri e puri. La nostra speranza è che la contagiosità di queste trame abbia la meglio su simili prese di posizione. Get in the pit!