8.5
- Band: KATATONIA
- Durata: 00:53:35
- Disponibile dal: 1993
- Etichetta:
- No Fashion Records
Bisogna probabilmente ringraziare la pigrizia che per anni ha attanagliato un paio di ragazzi della periferia di Stoccolma se oggi possiamo godere di alcune perle doom metal targate Katatonia. Viene infatti facile pensare che, se il chitarrista Anders “Blackheim” Nyström e il cantante/batterista Jonas “Lord” Renkse fossero stati più bravi a suonare i loro strumenti, all’epoca entrambi si sarebbero dedicati a generi più movimentati come il death o il black metal. Questi ultimi erano una loro grande passione – non a caso poi sfogata anni più tardi grazie a progetti paralleli come Bloodbath o Diabolical Masquerade – ma all’epoca la preparazione tecnica dei ragazzi era talmente limitata che non avrebbe mai permesso loro di raggiungere risultati simili a quelli di tanti altri loro connazionali che in quei giorni stavano scrivendo la storia del metal estremo. Ora, lungi da noi definire “Dance Of December Souls” (o il precedente EP “Jhva Elohim Meth”) un puro ripiego o un lavoro suonato “male” a tutti gli effetti, ma, se si conoscono i personaggi in questione, è evidente come questi sarebbero diventati musicisti a tutto tondo solo alcuni anni più tardi. Tuttavia, è doveroso mettere subito in chiaro come i nostri riuscirono comunque a farsi largo tra tutti questi limiti, lavorando più sul contenuto che sulla forma e concependo un’espressione in grado di lasciare indubbiamente il segno nella scena musicale dell’epoca; tanto più che le varie approssimazioni a livello esecutivo, abbinate a una sana irruenza giovanile, conferirono a questo debut album della band svedese un’aura molto particolare, che si sposa perfettamente con il sound proposto. Folgorati dalle prime opere dei Paradise Lost – e in particolare da “Gothic”, che precisamente introdusse il mondo a un nuovo tipo di sonorità, che mescolavano death/doom metal e influenze dark rock mutuate da Fields Of The Nephilim o Bauhaus – ma appunto per nulla ignari del fenomeno black metal che stava investendo la Scandinavia in quei tempi, i giovanissimi Katatonia confezionarono uno dei dischi doom più disperati e negativi che la storia ricordi. Muovendosi su semplici arrangiamenti di tastiera a corroborare una tesi studiata con un guitar-work tanto scarno quanto trascinante e una sezione ritmica a dir poco essenziale, i pezzi di “Dance Of December Souls” sono viaggi in un microcosmo emotivo vicino a chiunque sia in preda allo sconforto più nero o sull’orlo del suicidio. Bastano le prime note di “Gateways Of Bereavement” per sciogliersi e, continuando così, si arriva a immergersi in “In Silence Enshrined” per riuscirne quasi con le lacrime quando Renkse urla “Our Death is Eternal!”. Le vette cinematiche di “Velvet Thorns (of Drynwhyl)” sono degne dei momenti più tragici di una qualsiasi opera drammatica, mentre molte delle linee melodiche di “Tomb Of Insomnia” sembrano effettivamente nate da spartiti rubati a Gregor Mackintosh, ma troviamo anche un gran lavoro di arpeggi, che mettono già in mostra il particolarissimo gusto di Nyström, il quale più avanti costruirà numerosi brani su questo tipo di intuizioni. Là in mezzo, il vecchio classico “Without God”, ripreso dal primo EP e alfiere dei passaggi più duri e “satanici” dell’album, che ci lascia scossi e trasportati in un presente assolutamente grigio, funesto come le note che ci ha regalato. Certo, non tutto è perfetto e funzionale nel songwriting dei ragazzi, ma le ingenuità che si rintracciano sono essenzialmente quelle tipiche di una band agli inizi: il terzetto tende a costruire composizioni molto articolate senza averne magari tutte le capacità, finendo a volte per perdere un po’ il filo del discorso. La suddetta “Tomb Of Insomnia” o l’outro conclusivo “Dancing December”, ad esempio, in alcuni tratti calcano troppo la mano con tastiere “svolazzanti”, compromettendo un un po’ l’atmosfera luttuosa del disco. Ma sono cose che passano in secondo piano quando si prende coscienza dello stile inconfondibile con cui è marchiato “Dance Of December Souls”: i Katatonia nel 1993 innalzarono un ponte tra il doom metal più cupo e la degenerazione della scena black dell’epoca. Il compromesso è la regola e i vari elementi sono dosati quasi sempre sapientemente: il riffing di chitarra è costantemente pesante e molto controllato, ma a esso corrisponde un lavoro di tastiere arioso e melodico; le ritmiche sono cadenzate (o zoppicanti, vista l’essenzialità di Renkse dietro le pelli), solo a tratti un poco più incalzanti, ma l’interpretazione vocale è, di contro, sguaiata e lacerante, come se Renkse stesse effettivamente piangendo e contorcendosi per il dolore davanti alla sua sposa morente. In sintesi, un disco “lento”, tutto fuorchè “tecnico”, ma non un rigido monolite in cui tutto suona uguale e non vi è spazio per variazioni. Un disco in cui ogni ingrediente acquisisce un certo peso e ha una propria funzionalità nella ricerca di un sound coerente e personale. Un vero monumento alla sofferenza e, al tempo stesso – vedi il discorso iniziale – alla capacità di ingegnarsi.