KATATONIA – Nightmares as Extensions of the Waking State

Pubblicato il 31/05/2025 da
voto
7.0
  • Band: KATATONIA
  • Durata: 00:46:10
  • Disponibile dal: 06/06/2025
  • Etichetta:
  • Napalm Records

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Non è mai troppo semplice distinguere, nella parabola dei Katatonia, ciò che è trauma da ciò che è metamorfosi. La loro intera carriera si muove lungo una linea sottile, sullo sfondo costellata di rotture, silenzi, ritorni e strappi appena ricuciti. Ma con “Nightmares as Extensions of the Waking State”, pubblicato in un clima teso e quasi surreale, l’impressione è che un’epoca sia davvero giunta al capolinea. L’uscita definitiva di Anders Nyström – cofondatore, colonna storica e, per molti, la metà più emotiva e creativa della band – ha fatto più rumore dei primi singoli dell’album. Eppure, chi seguiva con attenzione gli sviluppi degli ultimi anni non sarà rimasto sorpreso: Nyström era già un’assenza più che una presenza, da tempo silenzioso in studio e invisibile sul palco.
Volendo poi andare ancora più indietro, alcuni fan di vecchia data magari si ricorderanno di come Renkse e Nyström sciolsero la band già tra il 1995 e il 1996, o di come Renkse abbandonò il tour di “Brave Murder Day” dopo un paio di date, lasciando al chitarrista il microfono per il resto dei concerti. Insomma, la carriera degli svedesi non è mai stata esente da scossoni, anche se poi il duo era sempre riuscito a passare sopra ai litigi. Questa volta, invece, la cosa è decisamente più drastica, anche se, come accennato, niente di quanto avvenuto ultimamente tra i due leader può avere inciso più di tanto sul materiale di questo nuovo album, visto che ormai da anni Renkse è appunto il principale o unico compositore del gruppo.
Così, mentre le polemiche infuriano e la fanbase si divide tra nostalgie e accuse, il frontman prosegue imperterrito nel suo cammino. Lo fa senza tentare di nascondere l’inevitabile: “Nightmares…” è, come prevedibile, un disco interamente suo, l’ennesimo capitolo di quella lenta trasformazione che ha convertito i Katatonia da entità più o meno collettiva a proiezione artistica e sentimentale del suo cantante. Non è un disco che cerca di fare pace con il passato, né di reinventare la formula. È, anzi, un album che fotografa con nitidezza il presente di una band ormai adulta, introspettiva fino all’estremo, e sempre più simile a un monologo interiore in forma musicale.
A livello stilistico, ci troviamo di conseguenza nel pieno della fase ‘moderna’ dei Katatonia, con quella vena tooliana e aperfectcircleiana introdotta nei primi anni Duemila che ha da tempo preso una piega più sfumata, tendente a quanto oggi viene definito ‘modern prog’, dove le architetture strumentali si fanno, ormai come al solito, meno abrasive rispetto al passato, ma più stratificate, quasi labirintiche, e la voce di Renkse – tenue, confidenziale, a tratti evanescente – domina la scena, come se a volte le note fossero lì solo per accompagnare il suo cantato.
Tuttavia, rispetto a “City Burials” e “Sky Void of Stars”, che erano quasi un diario aperto in forma digitale, qui il suono, almeno a momenti, pare recuperare un filo di ruvidità, una certa organicità produttiva che rimanda agli umori di “The Fall of Hearts”. Anche certi riff appaiono maggiormente incisivi rispetto a quanto offerto di recente, vedi il taglio più mordace di alcuni tratti dell’ottima opener “Thrice” o l’incedere heavy e quasi doomeggiante di canzoni come “Wind of No Change” e “The Light Which I Bleed”, con la prima che segna forse il momento più pesante del lavoro, non solo per l’incedere cupo, ma anche per il testo, che pare alludere – tra le righe – a fratture e dissapori con l’ormai ex chitarrista.
Altre tracce, invece, si aggirano in territori già battuti: soprattutto nella parte centrale della tracklist, le strutture e le melodie iniziano a sapere di déjà-vu. Qui la cifra stilistica di Renkse, nel suo recuperare – pur con una certa raffinatezza – le formule delle ultime prove, mostra alcuni segni di stanchezza, soprattutto quando manca il contrappunto, lo scarto, l’inatteso. È il limite implicito di un processo creativo fortemente individuale: ciò che si guadagna in coerenza, alla lunga si rischia di perderlo in freschezza o imprevedibilità.
A risollevare il tono ci pensa il finale, dove qualcosa torna a muoversi: “Efter Solen”, ad esempio, cantata interamente in svedese, si presenta come un episodio gelido e distaccato, sospeso in un minimalismo emotivo che evoca paesaggi interiori più che reali.
A conti fatti, “Nightmares as Extensions of the Waking State” risulta dunque tutto fuorché chissà quale punto di svolta – al contrario, sa del classico disco di consolidamento. È l’istantanea nitida di un cantante e musicista che fa tesoro della propria solitudine creativa e che procede lungo un sentiero noto, con passo misurato e sguardo interiore.
Non c’è davvero più la dialettica di un tempo, il conflitto tra due personalità forti, l’energia divergente: al suo posto, c’è una coerenza formale invidiabile, ma anche un rischio di autoreferenzialità che qua e là comincia a insinuarsi.
Resta però un dato innegabile: Renkse continua a scrivere musica che parla con voce propria, capace di scavare in profondità anche quando sembra limitarsi a sfiorare la superficie. E anche se i Katatonia di oggi hanno più in comune con formazioni come Leprous o The Pineapple Thief che con qualsiasi filone del metal più tetro, la loro malinconia, pur mutata, resta una delle più riconoscibili del panorama contemporaneo.

TRACKLIST

  1. Thrice
  2. The Liquid Eye
  3. Wind of no Change
  4. Lilac
  5. Temporal
  6. Departure Trails
  7. Warden
  8. The Light Which I Bleed
  9. Efter Solen
  10. In the Event of
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