9.0
- Band: KAUAN
- Durata: 00:52:01
- Disponibile dal: 20/10/2015
- Etichetta:
- Blood Music
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Il cosiddetto ‘incidente del passo di Djatlov’ avvenne il 2 febbraio 1959: durante quella notte nove escursionisti, tra cui Djatlov, capo della spedizione, che si erano avventurati sui monti Urali con gli sci di fondo, morirono in maniera misteriosa per cause ancora oggi sconosciute. Gli investigatori sovietici stabilirono che la morte sopraggiunse per una non meglio definita ‘forza della natura’; fu scoperto che i nove avevano lacerato dall’interno la tenda in cui erano accampati e alcuni dei corpi presentavano pesanti fratture, anche se non sembravano esserci segni esterni di lotta. Anni ed anni di indagini hanno portato a molte congetture (radioattività, un attacco delle popolazioni del luogo, una valanga, alieni, esercitazioni militari…) ma mai prove definitive, e l’incidente rimane ancora inspiegabile ai nostri giorni. I Kauan, in “Sorni Nai”, parlano proprio di questi tragici avvenimenti. La band russa (che ora ha sede in Ucraina) è un’entità misteriosa e sfuggente come la musica che compone: nata nel 2005 per volontà del compositore Anton Belov, che solo in seguito si è circondato di collaboratori, ha ormai all’attivo nove full length, alcuni in lingua russa ed altri, come “Sorni Nai”, per qualche ragione cantati in finlandese (in una vecchia intervista, Anton ha rivelato di aver scelto questa lingua perchè nessuno la comprende e l’ascoltatore si ritrova a considerare la voce come un qualsiasi strumento). Pur avendo pubblicato altri album degni di nota (soprattutto il precedente “Pirut”), quest’ultimo è un pò un unicum nella loro discografia, in parte sicuramente per la suggestività dell’argomento trattato, ma in modo particolare per l’elevata qualità, tanto che in molti lo considerano una delle gemme nascoste nel suo genere; un lavoro sorprendente, anche perchè proveniente da un gruppo non conosciutissimo né appartenente ad una scena definita. La musica proposta è sicuramente complessa e difficile da inquadrare: si pensi ad un post rock maestoso, quale può essere quello dei giapponesi Mono, con momenti atmosferici accostabili agli ultimi Solstafir o anche a qualcosa degli Anathema, altri grondanti oscurità doom e brevi schegge di black metal che ricordano la vecchia produzione degli Ulver, nelle fasi più tragiche della descrizione; ma è impossibile ricondurre quest’opera ad un genere ben preciso. Chitarre acustiche si alternano ad aspri riff elettrici, voci sussurrate inframezzate da freddi growl, archi suadenti, tastiere dal sapore prog, atmosfere folk, orchestrazioni complesse; il tutto senza pause, poichè il disco è un pezzo unico di cinquantadue minuti, anche se suddiviso in sette capitoli. Viste le premesse, l’obiettivo più difficile poteva essere conferire una sorta di omogeneità al materiale trattato, ed invece capacità compositive fuori dal comune hanno permesso di donare fluidità ad una materia così complessa. “Sorni Nai” va ascoltato tutto d’un fiato, magari nelle ore notturne e con una luce soffusa, lasciandosi conquistare dalla nitidezza delle immagini che riesce ad evocare. Il viaggio parte con “Akva” che, atmosferica e solenne, si articola in un post rock con voce femminile ed archi. Si sale di tono con “Kit” che, introdotta da dolci note di pianoforte, una pacata voce narrante e una chitarra acustica, con un crescendo irresistibile si trasforma in un gelido doom con voce in growl. L’altalena di emozioni prosegue con “Khurum”, un sognante affresco che pare disegnare un paesaggio come potrebbero fare i già citati Solstafir. “Nila”, dopo un inizio sostenuto, si stempera in un prog malinconico che in realtà è l’inizio dell’incubo. La successiva, maestosa “At” è l’esplosione della natura in tutta la sua forza, che porta desolazione e paura. La devastazione continua con “Khold”, dai toni ancora doom soprattutto nella parte iniziale, dopo un inizio più soft. Con “Sat” si giunge alla fine, con una voce solenne e quasi operistica ed una raffica di vento che soffoca le ultime note. Tutto ciò in un unico pezzo, che si apre e si chiude con il rumore leggero ma inconfondibile di una tempesta di neve. I testi, scarni e rarefatti, sono perfettamente integrati nel tappeto sonoro e sono funzionali ad accrescerne la tensione emotiva, evocando gelo, ghiaccio e oscure premonizioni. Splendida anche la copertina: un’immagine in un bianco e nero sfocato degli escursionisti in cammino, che sembra far presagire il dramma che sta per accadere. “Sorni Nai” è la cronaca di una tragedia ma, soprattutto, un’ode alla spaventosa potenza della natura al cospetto della quale l’uomo non può che assistere inerme.