7.5
- Band: KAYLETH
- Durata: 00:42:09
- Disponibile dal: 24/05/2024
- Etichetta:
- Argonauta Records
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Partiti dallo stesso background hard rock di Spiritual Beggars (i migliori, quelli di “Ad Astra”) e Nebula, dopo una buona manciata di EP, singoli ed album (l’ultimo, “2020 – Back To The Earth”, pubblicato ormai quattro anni orsono da Argonauta Records) i Kayleth sembrano dunque aver trovato un giusto equilibrio, che li porta a prodursi in deliziosi esercizi di grunge melodico (l’iniziale “The Throne” potrebbe essere uno delle tante hit mancate degli Screaming Trees di “Sweet Oblivion”, mentre tra le pieghe del ruvido boogie “New Babylon’s Wall” è in agguato un azzeccatissimo singalong) e a costruire canzoni più complesse di quanto potrebbero apparire ad un primo ascolto.
Esempi di questo approccio sono “Giants’ March”, che dentro il passo da caterpillar dei migliori Kyuss amalgama con abilità atmosfere space rock e i break chitarristici dei Paradise Lost di “Draconian Times”, oppure “Weak Heart”, aperta da un convincente intro percussivo e poi divisa tra strofe tradizionalmente stoner ed un refrain appiccicoso (ottima la prova di Enrico Gastaldo alla voce) che prende progressivamente il controllo della canzone.
I quasi dieci anni di attività hanno sicuramente giovato al quintetto, che sfoggia un affiatamento notevole, con le chitarre che dimostrano di aver ben presente i concetti basilari del metal (l’accelerazione improvvisa tipica dei primi Black Sabbath che sorprende un’altrimenti sorniona “Cyberslave”, l’incedere rock’n’roll dei Motorhead che pervade la strofa di “We Are Aliens”) e la sezione ritmica capace di guidare con mano sicura quando necessario, come nel singolo “The Night” (i Queens of the Stone Age di “No One Knows” ed i loro riff meccanici prima che una coda melodrammatica di synth li sommerga).
L’impressione che emerge dall’ascolto di “New Babylon” è che i Kayleth siano una realtà appassionata che sperimenta una lenta ma costante crescita frutto di esperienza sul palco, infinite prove in studio ed esercizio di scrittura, con un impegno artigianale che, al pari del “Megalodon” qui cantato con una baldanza che li avvicina ai Black Tusk, si sta facendo più raro, e per questo va supportato con forza. Come si dice in questi casi? Ah, sì: bene, bravi, sette (e mezzo).