7.5
- Band: KAYO DOT
- Durata: 00:59:11
- Disponibile dal: 29/10/2021
- Etichetta:
- Prophecy Productions
- Distributore: Audioglobe
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Decimo studio album per i Kayo Dot, la pittoresca e trasformista creatura del polistrumentista Toby Driver. Artista che si muove da ormai da quasi tre decenni, prima coi Maudlin Of The Well, quindi con Kayo Dot e da solista, in un universo sonoro sconfinato e in costante espansione. Extreme metal, sperimentazione, jazz, pop, synthwave, correnti visionarie, macellerie schizzate e delicatezze intangibili si sono rincorse nella sua produzione, che oggi fa segnare il ritorno a una pesantezza metal messa in disparte negli ultimi tre dischi. Ciò avviene in corrispondenza di una simil-reunion dei membri dei sopra citati Maudlin Of The Well, ritrovatisi per dar man forte a Toby in questo nuovo album, registrato proprio laddove venne concretizzata la prima cassetta di quella ormai defunta formazione. Il 2021 è anno ben diverso dal 1996 di “Through Languid Veins”, primo demo a veder operare assieme Driver, il paroliere Jason Byron (autore dei testi come in “Blasphemy”) e il chitarrista Greg Massi, ma vi è una sottile contiguità con quegli anni, nella concitazione di molti passaggi e in quella tensione a ricercare soluzioni complesse, intense, che portino in poche battute alla stupefazione.
Un approccio energico che si nota in fretta e contrasta coi languidi movimenti di “Blasphemy”, precedente full-length dei Kayo Dot: burrasche lampanti in un’opener come “The Knight Errant”, dove Driver sporca la voce e la innesta su un chitarrismo oscuro, abbondante di distorsione, mentre le cadenze ritmiche non lesinano in tempi dispari, con un taglio prog eccentrico a delimitare le ampie barriere del campo di gioco. In “Moss Grew On The Swords And Plowshares Alike” non viene comunque dimenticato il passato recente e l’infatuazione per i synth quale colonna portante delle canzoni: i soundscape delineano atmosfere futuriste, algide e allucinate, fluttuanti tra una tensione tagliente e un onirismo non proprio rasserenante. Se i formulari degli ultimi tempi garantivano una relativa linearità, ciò accade solo parzialmente col nuovo lavoro, in preda a strappi e cesure che non si sentivano da queste parti dai tempi di “Hubardo”. Non si perviene a quei caotici dilaniamenti tra black metal e grind, ma l’irrequietezza dell’insieme è manifesta e fa avanzare a scatti le tracce. Esse attraversano umori ambivalenti, proiettandosi in universi ora di altera intangibilità, ora di marmorea durezza. Driver accentua i toni teatrali della sua creatura, sfornando interpretazioni vocali molto diverse anche da una strofa all’altra, come se si confrontassero più personaggi su un immaginario palcoscenico. Quel che accade ad esempio nell’aggrovigliata eppur fluida “Brethren Of The Cross”, o negli isterismi della vorticosa “Spectrum Of One Colour”. In possesso di spiccate doti da artista ‘leggero’, Driver rimpolpa il suo repertorio di limpide carezze con la dilatata e soffice “Void In Virgo”, inseribile tranquillamente nella sua produzione solista tanto è rilassata e concentrata su suoni cristallini e privi di irregolarità.
L’indomabile sfrontatezza di una “Get Out Of The Tower” può apparire quasi un moto disarticolato e incostante, frutto di una mente in perenne ricerca di combinazioni sonore folli, eccessive, e ciò è vero fino a un certo punto: questa tensione sfocia in eruzioni strumentali fragorose e dal taglio molto personale, che vanno a farsi ‘domare’ e rendere più digeribili da costrutti melodici meno spigolosi. L’alternanza di deragliamenti e calma permette di dare coesione ai singoli brani, avanguardistici e ribollenti di follia finché si vuole, ma non privi di armonie incisive ed emotività. Ci vogliono molti ascolti – desiderosi a loro volta di un buon grado di concentrazione – per non perdersi in un album più ermetico di un “Plastic House On Base Of Sky” o di “Blasphemy” stesso. Il dialogo tra la vaga ariosità dei sintetizzatori e le turbolenze di chitarra, basso e batteria assumono connotati ben distinti da una traccia all’altra, causando un pizzico di disorientamento nelle prime fruizioni. Come e più che in altre pubblicazioni griffate Kayo Dot, “Moss Grew On The Swords And Plowshares Alike” si presenta come una scalata impegnativa e sdrucciolevole per chi lo affronta. La qualità resta alta, il songwriting brillante e aperto anche stavolta agli azzardi e alle contaminazioni. Nulla di meno di quel che abbiamo imparato ad attenderci da Toby Driver e da coloro di cui ama attorniarsi.