7.0
- Band: KEN MODE
- Durata: 00:35:28
- Disponibile dal: 29/08/2018
- Etichetta:
- Season Of Mist
- Distributore: Audioglobe
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Provati da anni vissuti intensamente, fra sala prove e palco, senza risparmiarsi un attimo, percorrendo migliaia di chilometri per portare la loro musica in tour, magari davanti a poche decine di persone, i canadesi KEN Mode hanno detto basta. Ne avevano abbastanza di tutto questo girovagare, si sono fermati un attimo, per rifiatare e riflettere. Reduci dal coraggioso cambiamento di pelle di “Success”, con il quale avevano momentaneamente abbandonato il lato più crudo e oltranzista della loro musica, per dedicarsi a una rivisitazione dell’indie-noise rock novantiano, il trio dei fratelli Matthewson si era messo in stand-by. Poteva essere una sosta assai lunga, invece il settimo album del terzetto di Winnipeg è già realtà. Ed è a suo modo rassicurante, perché riconsegna i KEN Mode nel formato che avevamo imparato a conoscere, prima della svolta anomala e divisoria dell’ultimo full-length. Novità del disco, è l’inserimento in alcune tracce di stralunati interventi di sax, suonati da Kathryn Kerr, una speziatura in senso jazz, nella sua accezione più sperimentale, che appare come una riuscita aggiunta al suono della band, ma non va a stravolgerne i connotati.
Con “Venerable” ed “Entrench” erano stati fissati i canoni di un sound che parte dal noise rock e ne esaspera l’effetto disturbante, l’aggressione meccanica, le dolorose dissonanze e la rabbia incontrollata. Il clima è particolarmente scuro ed apocalittico in “Loved”, anche per gli standard della formazione, come se in qualche modo essa si sentisse in dovere di dare delle conferme sulla propria identità e dovesse certificare che “Success”, per quanto di per sé un disco di buona fattura, fosse stato soltanto un episodio isolato, quasi estemporaneo. Sguaiati ma calcolatori, freddi e ossessivi, i KEN Mode presentano una serie di episodi se vogliamo ‘standard’ se si conosce la loro storia passata, portatori di tutti gli ingredienti essenziali del proprio inconfondibile stile. Riff velenosi forgiati in cumuli di ferraglia arrugginita percuotono con atteggiamento rude e oltranzista, mentre un basso slabbrato rimbomba severo e ingigantisce la velenosità delle singole tracce; la batteria spezza l’azione, innesta altro nervosismo, portando a uno stato di tensione costante.
Non vi è linearità in “Loved”, vi è predilezione per movimenti spastici e disarticolati, poche anche le accelerazioni a testa bassa; l’indole punk del trio è qualcosa di più subdolo e cerebrale, come è chiaramente percepibile nei vocalizzi pazzoidi di Jesse Matthewson. Il singer dà prova di versatilità nelle derive jazzate e crepuscolari di “This Is A Love Test” e nel tormentato disfacimento di “No Gentle Art”, lunga otto minuti e mezzo, un misto di ossessioni swansiane, estrosità zorniane e strisciante nichilismo. Proprio il taglio obliquo e la maggiore strutturazione delle due canzoni citate ci fa pensare che in futuro i Matthewson potrebbero spingersi verso nuovi modi di espressione, torturandoci con metodi di cui oggi ci hanno dato solo qualche assaggio. Buon rumore a tutti.