7.5
- Band: KEN MODE
- Durata: 00:35:29
- Disponibile dal: 23/09/2022
- Etichetta:
- Artoffact Records
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Feroci, contundenti, acidi, cattivissimi ed eclettici, i KEN Mode proseguono la loro battaglia solitaria nel solco del noise metal. Una corrente che all’interno del mondo metal è portata avanti da ben poche realtà e rimane una piccola nicchia, pur in un’epoca di impensabili commistioni come quella attuale. A quattro anni da “Loved”, che ce li aveva restituiti particolarmente neri, pessimisti e lesionisti, i canadesi escono dall’alveo della Season Of Mist e si accasano per la più underground Artoffact Records. Casa discografica di impronta dark-rock/post-punk, divenuta di recente anche punto di accoglienza per alcune formazioni poco inclini a compromessi e consuetudini, come i grinder Cloud Rat e i post-metaller in senso lato Gggolddd. La novità principale in casa KEN Mode è che non stiamo più considerando un terzetto ma un quartetto, con l’utile e già preventivabile aggiunta di Kathryn Kerr, già eccellente protagonista in “Loved” con isterismi di sax zorniani, ben incastonati nel tessuto sonoro sempre più strappato e virulento allestito dai fratelli Mattewson e Scott Hamilton. Kerr che entra in pianta stabile non solo come sassofonista, ma occupandosi anche di sintetizzatori, pianoforte, percussioni e backing vocals.
E allora eccoci a cercare di sopravvivere ai toni accesi, slabbrati, tumultuosi di “NULL”, consapevolmente alle prese con un’altra serie di assalti sonori ‘classicamente’ kenmodiani. I tratti inconfondibili della band ci sono tutti, a partire da uno spandersi irregolare delle ritmiche chitarristiche, dal trionfare del rumore, dall’acceso baccanale di stridii e clangori che fa da cornice e polpa a un’opera schizzante sangue digitale come questa. Come accaduto pure nel predecessore, nei tempi ristretti del disco – una formula a suo modo rassicurante di otto brani per trentacinque minuti – i quattro alternano rasoiate micidiali dirette e travolgenti, a escursioni ondivaghe e sperimentali, confezionando un melting-pot abbastanza atteso, ma che sa stordire e disorientare a più riprese. Efficace “NULL” nel presentare un suono ancora più frastagliato e corrosivo del solito, con la band intenta ad approfondire i propri stessi contenuti e cercare di far emergere efficacemente le contraddizioni, le pulsioni, gli slanci impulsivi, in un festival di collisioni strumentali e ritmiche scarnificanti. Accanto a composizioni spietate e sintetiche come “Throw Your Phone In The River” (titolo di spiccata attualità) e “The Desperate Search For An Enemy”, compaiono litanie angoscianti, martellamenti fisici e sensoriali che ben sottolineano cosa voglia dire suonare ‘noise’ ed essere poco confortevoli, disagevoli e angoscianti per chi ascolta. L’opener “A Love Letter” e i suoi ingarbugliamenti, il putrido industrial di “The Tie”, sono figli di nuove/vecchie contaminazioni, orchestrate attingendo a un campionario sonoro e umorale molto ampio e che non prevede alcuna ariosa concessione melodica. Sui tempi lunghi e allargati, anche stavolta i KEN Mode producono sforzi assai apprezzabili, nella rarefatta e cantilenante “Lost Grip”, una strascicante doglianza, con un suo bel carico di drammaticità a ingrossarsi strada facendo, mentre il comparto vocale sminuzza un testo egualmente ferale con le sue fauci.
“NULL” non rivoluziona l’identità della formazione nordamericana, ma aggiunge un tassello di valore a una discografia già importante e di qualità elevata. Lo fa spingendo un poco oltre in tema di sperimentazioni, con l’intransigenza e la lucida follia che siamo soliti attribuire a questi musicisti. Un lavoro ben fatto, non c’è che dire.