7.0
- Band: KERRY KING
- Durata: 00.46:34
- Disponibile dal: 17/05/2024
- Etichetta:
- Reigning Phoenix Music
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Come abbiamo già avuto modo di dire nel nostro podcast dedicato a questo disco e al ritorno sulle scene degli Slayer (qui il link), non c’è nulla che delude le aspettative nell’esordio discografico di Kerry King, ma inevitabilmente non ci sono nemmeno troppi momenti di esaltante sorpresa.
Semplicemente, com’era logico aspettarsi, “From Hell I Rise” è il disco che ci saremmo potuti aspettare anche dagli Slayer stessi nel 2024: il songwriting è in puro stile King, proprio come su “Repentless”, lo stile di Bostaph è inconfondibile e ha del resto caratterizzato un terzo delle uscite della band, con buona pace di chi pensava “no Lombardo, no Slayer” (e chi vi scrive ammette di essere di questa scuola…), mentre i restanti membri della band eseguono il loro compito senza pecche.
Al basso troviamo un tuonante Kyle Sanders (Hellyeah), mentre alla seconda (ma spesso prima, per la precisione) chitarra non c’è proprio l’ultimo arrivato, dato che parliamo di Phil Demmel. E qui è inutile scomodare paragoni con Hanneman, visto che già Gary Holt ha dimostrato che si può duettare con King in modi diversi, senza creare costernazione nei fan.
Mark Osegueda è infine la scelta potenzialmente più divisiva, almeno in termini di apprezzamento: la sua voce caratteristica viene sfruttata su registri molto vari, insegue frequentemente la cattiveria di Araya, molto spesso prevale però una direzione quasi thrashcore, persino giocosa, comunque efficace (“Residue”, oppure “Trophies Of The Tyrant”, forse il pezzo più divergente del lotto).
Finito l’organigramma, e data la premessa, sui brani c’è poco da dire: la capacità di scrivere canzoni c’è, e sarebbe sinceramente scorretto sottolineare la prevalenza del mestiere sulle idee geniali (“Where I Reign”, “Toxic”) in un musicista che ha definito le coordinate del genere oltre quarant’anni fa, o gli evidenti richiami agli Slayer, che comunque regalano gioie in diversi brani: dall’iniziale “Diablo”, midtempo che evoca tanti ricordi, passando per la ritmatissima “Idle Hands”, la spina dorsale resta quella fino alla conclusione del disco, ovviamente con particolare richiamo al lato più furioso della band di Huntington Park, da sempre appannaggio di Kerry: nomen omen, ascoltate “Rage”, ove fa capolino anche una certa intransigenza da thrash teutonico.
Tirando le somme, se vi aspettavate un miracolo, declinato come un nuovo “Reign In Blood” o come la scoperta di un inedito, strepitoso sound di nuova rivelazione da parte di Kerry King, sarete pesantemente delusi; se invece prevale la consapevolezza del percorso compiuto negli anni dagli Slayer, sicuramente è un disco che si lascia ascoltare più volte. E poco male se, visti altri eventi, resterà anche l’unico a uscire a nome del solo Kerry King.