
7.0
- Band: KEXELÜR
- Durata: 00:30:00
- Disponibile dal: 18/04/2025
- Etichetta:
- Sun & Moon
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“Epigrama De Un Pasado Perdido” è l’album di debutto del trio cileno Kelexür, di stanza nella capitale Santiago, e attivo da solamente pochi anni, durante i quali si è fatto già conoscere per alcuni interessanti demo.
La musica proposta è un black metal d’avanguardia che pesca da diversi generi, più o meno correlati, dal doom al progressive metal, dalla psichedelia al jazz.
Il riferimento più ovvio è la scena avantgarde metal sorta in Norvegia negli anni Novanta, e in particolare i lavori più folli scaturiti in quegli anni e in quei luoghi: un buon esempio potrebbero essere i frangenti più anarchici ed estremi di “Neonism”, il secondo disco dei Solefald, ma la personalità e imprevedibilità dei Kelexür possono rimandare a molteplici altre influenze, anche extra norvegesi; si potrebbero citare, più per l’approccio che per gli esiti, anche gli sperimentatori nostrani Ephel Duath.
La durata totale è di mezz’ora spaccata, poca per un album, ma considerevole per soli tre pezzi, che però non annoiano assolutamente, e questa è la prima, evidente, freccia all’arco dei cileni: il fatto di essere talmente indecifrabili da potersi permettere di lavorare su queste distanze, al contrario di molti colleghi che oltre a proporre pezzi telefonatissimi si concedono minutaggi considerevoli.
Si parte con la composizione più varia e incontrollata, “Vestigios Del Enajenado Por La Antracita”, dove si passa da un’introduzione spettrale e evocativa ai tremolo picking e blast-beat tipici del black norvegese; ma dura poco, perché nel breve volgere di alcune battute emergono degli interessanti spunti solistici, spazzati poi via da un rocciosissimo riff di matrice death metal; tutto condito da una spiccata predisposizione al jazz e al progressive.
Nell’insieme tutto ciò può ricordare i vecchi Enslaved, quelli del primo periodo di sperimentazione inaugurato da “Mardraum”, dove i mostri sacri di Bergen provavano a mischiare black, death e progressive metal.
Curiosamente, ma non troppo, la successiva “Ningun Resplandor Evitarà El Final”, nel suo evolversi onirico e straniante, rimanda ai lavoro successivo dei norvegesi, lo psichedelico “Monumension”, oppure ai più recenti “Axioma Ethica Odini” o “E”, ma sempre con quell’attitudine un po’ naif che caratterizzava il periodo in cui gli Enslaved stavano ancora cercando la loro via dopo aver lasciato il black metal di impostazione vichinga dei primi dischi; via che poi definirono compiutamente a partire da “Below The Lights”, prima vera summa del loro particolare stile tra black metal e progressive rock.
Così i Kelexür sembrano all’inizio di un percorso che potrebbe portarli lontano: è tangibile un certa inesperienza, ma i cileni riescono a ben camuffarla dietro la loro vena astratta, istintiva e sperimentale: le imprecisioni nel suono e nelle esecuzioni strumentali non passano certo inosservate, però sono comprensibili considerando che si tratta appunto di un debutto e, oltre all’inesperienza, può entrare in gioco anche una certa carenza di budget.
Tuttavia, se tale approccio poteva essere parzialmente perdonato nei gruppi black metal di trent’anni fa, certo non sono queste le basi su cui fondare una carriera artistica oggi, e ci si aspetta che i cileni vadano presto a limare i tratti più spigolosi della loro proposta.
La tecnica strumentale non manca, purtroppo talvolta la foga è troppa e può essere solo parzialmente nascosta dalla cifra stilistica adottata.
Le chitarre, nelle loro fughe solistiche alla ricerca di atmosfere peculiari e spiazzanti, ripercorrono certe scale cromatiche che si possono sentire ad esempio nei Mastodon, soprattutto sulla seconda traccia; la batteria fa un gran lavoro a divincolarsi tra blast-beat e cambi di tempo, il basso tende a perdersi nel mix, ma quando si sente risulta anch’esso interessante; il cantato è eclettico e delirante al punto giusto, ma non si può dire che vada oltre il semplice accompagnamento alla partiture strumentali; apprezzabile, infine, la scelta di esprimersi in spagnolo.
Il terzo e ultimo brano, “Epigrama De Un Pasado Perdido”, rimanda ai Mayhem più sperimentali, e si fonda su un arpeggio dissonante che invece di venir pian piano domato, si inasprisce con massicce dosi di metallo nero, diventando sempre più disturbante e ultrasonico: un coerente e appropriato saluto da parte del trio del Sudamerica, che aspettiamo al varco prossimamente con un lavoro che possa confermare quanto di buono già espresso, magari con una maggior cura nella registrazione e con una più solida padronanza delle proprie – considerevoli – capacità.