5.0
- Band: KHOLD
- Durata: 00:32:55
- Disponibile dal: 22/03/2024
- Etichetta:
- Soulseller Records
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I presupposti per fare un buon album c’erano tutti, alla vigilia dell’uscita: i Khold, dopo un silenzio durato ben otto anni, erano tornati in modo più che convincente nel 2022 grazie all’album “Svartsyn”, e il nuovo materiale che ora vede la luce, stavolta pronto in un tempo relativamente più breve, faceva ben sperare sul buono stato di salute di Gard e soci.
Il concept dedicato ai personaggi criminali condannati a morte durante la storia norvegese aveva un certo fascino noir da sommare alla musica ossessiva dei Khold, ed infine la produzione sotto la guida attenta di uno come Andy La Rocque era il sigillo finale a quello che doveva essere un album di tutto rispetto.
Ma sappiamo che i buoni propositi spesso da soli non bastano: per fortuna il nuovo “Du Dømmes Til Død” ha una durata limitata (trentadue minuti, quasi minimo sindacale per quello che viene fatto passare come ‘full-length’), perché una ulteriore aggiunta di brani e di minuti non avrebbe cambiato il livello mediocre di questa release.
Considerato il genere davvero minimale suonato dalla band, per renderlo di un certo interesse i Khold hanno sempre dovuto (riuscendoci) arricchirlo di un qualcosa di interessante. Sound essenziale, dunque, il quale se messo a nudo mostra tutta la sua fragilità e scarsità di contenuti. Ed è quello che è successo stavolta: per scrivere canzoni così elementari come quelle presenti sull’ottavo album della band, possono bastare un paio di settimane al massimo, se non meno.
Lo stile è quello più o meno di sempre, qui però di black metal non c’è neppure l’atmosfera, nonostante i testi delle canzoni potevano in qualche modo ispirare un songwriting carico di pathos noir e con una buona dose di atmosfere negative.
I riff, stavolta poco personali e senza nerbo, sono presi dalla tradizione thrash metal, ma spogliati della loro carica e velocità e bisogna attendere la terza canzone, la title-track, per sentire un po’ del mood tipico dei Khold. Arriva poi “Skoggangsmann” che ha almeno il pregio di avere un po’ di groove, ma è davvero troppo elementare e soprattutto ripetitiva, mentre “Trolldomsdømt” si salva dalla noia perché riprende la tradizione dei Khold e la loro capacità di fare di un brano semplice qualcosa di interessante.
Gli altri brani hanno un tocco un po’ black’n’roll non trascendentale, e in alcuni passaggi sembra quasi di sentire i Sodom al rallentatore (come ad esempio su “Galgeberg Og Retterbakke”). Insomma, un passo falso ci può stare, ma è un campanello d’allarme perché il genere musicale suonato dai Khold o viene arricchito (e la band in passato ha dimostrato di saperlo fare in vari modi) oppure tutti i suoi limiti vengono messi a nudo più che in altri casi. Release evitabile.