7.0
- Band: KIJU
- Durata: 00:50:57
- Disponibile dal: 01/10/2005
- Etichetta:
- Hardebaran
- Distributore: Two Fat Men
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L’ignoranza sonora, se applicata nel giusto contesto, con giusta attitudine e sincera onestà, non può non pagare e dare i propri frutti, pur essendo spesso scevra di profondità e complessità. Nel caso dei toscani Kiju, le affermazioni appena sopra riportate sono difficilmente controbattibili: realizzato negli ormai apprezzatissimi Fear Studios di Alfonsine, Ravenna – al pari dei New Sin e degli Outer Sound, il meglio che si possa avere in Italia in termini di studi di registrazione – “Demo(n)cracy” è una mazzata devastante in pieno petto! Il quintetto nostrano, finora quasi più conosciuto all’estero che in patria, raggiunge il traguardo del secondo disco, forte di un sound abrasivo, monolitico e potentissimo, influenzato in ugual modo da death metal, thrash e hardcore, ma ben lontano dagli stereotipi del metal-core americano più trendy. La band sembra ispirarsi principalmente al sound roccioso dei più groovy Pantera e degli scatenati Sepultura di “Beneath The Remains” e “Chaos A.D.”, oppure ai primissimi Machine Head, mischiando derive di hardcore primigenio (Discharge) ad un sound attuale e parecchio cadenzato, il quale, solo per questioni cronologiche, ricorda anche gli Hatebreed, i Soulfly, i britannici Pulkas e, sul versante più pesante, i fantastici Testament di “Demonic”. I Kiju, poi, mettono in più una ferocissima dose di rabbia contro tutto e tutti, promulgata attraverso i testi socialmente impegnati di Vitto, un singer che spacca davvero e che dimostra anche di cavarsela bene con la lingua inglese, nonostante le metriche proposte e la scelta di scrivere strofe piuttosto complicate e veloci da pronunciare avrebbero potuto metterlo in difficoltà. Le chitarre di Cance e Robe macinano riff uno più trascinante dell’altro, mentre la sezione ritmica pesta che è un piacere. I brani scorrono fluidi e senza intoppi, poco spezzati e praticamente senza rallentamenti moshy (un evento!); alcuni di essi mostrano l’aspetto vagamente melodico dei Kiju, come ad esempio “Inside…”, “Disappear” o la bonus-track “Dog”, aventi dei ritornelli in voce pulita – supportati comunque da un groove forsennato; le cose migliori, però, i cinque empolesi le riservano nei pezzi più diretti e massacranti, quali “Tag Your Bones”, “I Don’t Tolerate Who Is Not Tolerant”, “Surf Diesel” e “Born Aborted”, tutti realmente da pogo indiavolato. “Demo(n)cracy” si fa quindi apprezzare proprio per il suo essere diretto, senza fronzoli e assolutamente arrabbiato. Assieme ai Browbeat, un complesso su cui puntare ad occhi chiusi per il futuro del metal pesante (e moderno) italiano! Preparate i cerotti…