7.5
- Band: KILLING JOKE
- Durata: 00:50:47
- Disponibile dal: 03/04/2012
- Etichetta:
- Spinefarm
- Distributore: Universal
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Trentatre anni. Un terzo di secolo passato non stop a creare musica più unica che rara e in perenne mutazione. Trentatre anni passati in cattedra. Questi sono i Killing Joke, una band che ha influenzato intere generazioni di altre band nel mondo del rock e del metal. Dai Nirvana ai Godflesh, dagli Amebix ai Soundgarden ai Ministry. Insomma, delle vere leggende viventi, dei dinosauri inossidabili del rock, sempre meno popolari e imbottiti di quattrini di molti loro discepoli più in vista, ma sempre in cima alla catena evolutiva, con merito e cognizione di causa. “Semper imitatum nunquam idem“, era scritto sulla versione audiocassetta di “Extremities, Dirt & Various Repressed Emotions”, dell’ormai lontano 1990. Frase forse un pizzico vanitosa, ma certamente non priva di innegabile onestà. Semplicemente è vero, i Killing Joke sono stati imitati da migliaia di band, ma replicati, mai e poi mai da nessuno. E dopo trentatre anni di attività, quindici full length e un ventaglio di approcci alla composizione musicale e alla proposizione di generi che spazia dal synth-pop allo sludge metal, chiunque si ritroverebbe di fronte a una strettoia, all‘inevitabile collo di bottiglia. A quei livelli le scelte sono spesso ridotte al minimo, i mezzi per risultare ancora, per una ennesima volta, innovativi e sempre un passo avanti a tutti sono ridotti quasi allo zero, e la vecchiaia, i cambi di line-up e i tempi che cambiano sono impietosi come sempre. Ma non per i Killing Joke. Con “MMXII” la band londinese anche di fronte ad una strettoia quasi impossibile da superare ha fatto un altro piccolo miracolo, ha trovato l’ennesima via di uscita laterale ed è sgattaiolata via con un gran colpo di reni, in un territorio tutto nuovo, ancora una volta, sempre e comunque davanti a tutti e senza compromessi di sorta. Dimenticate tutto quanto fatto dalla band da “Extremities, Dirt & Various Repressed Emotions” ad oggi. Dimenticate “Democracy”, il bestiale “Pandemonium”, il bastardissimo omonimo del 2003, il devastante “Hosannas From The Basements Of Hell”. Tutto quanto fatto dai nostri negli ultimi vent’anni, ovvero il loro materiale più “pesante”, con il precedente “Absolute Dissent” ha cominciato a vacillare e con “MMXII” e una line-up originale ormai non più un esperimento ma una realtà consilidata, è stato spazzato via completamente. Immaginate un ipotetico bivio sulla strada dei Killing Joke dopo “Night Time”, e se dopo di questo anzicchè procedere per “Brighter Than A Thousand Suns”, i Killing Joke avessero preso una ipotetica via misteriosa. Bene, probabilmente avremmo avuto un album molto simile a “MMXII”, poichè il lavoro in questione è forse di quanto più “ottantiano” sia stato fatto dalla band dai tempi di ”Night Time” appunto. Gli arrangiamenti di tastiere in primissimo piano di Jaz Coleman e uno stesso Coleman nuovamente cantante “vero” – non solo ispiratissimo, ma anche abilissimo nei numerosissimi momenti “puliti” e dalle ottave elevate che costellano il disco – ci riportano direttamente a metà anni Ottanta, quando i Killing Joke erano tra i più pioneristici forgiatori della migliore dark-wave e di un certo elettro-rock dal retrogusto “dannato” e apocalittico. Le canzoni di “MMXII” sono sontuose, melodiche, raffinate, scintillanti e trascinate da un malinconico ed esoterico senso di incombenza costante. I ritmi sono forse di quanto più “danzereccio” (sempre nel senso più killingjokiano del termine ovviamente, ovvero tribale, selvaggio, e in trance totale) ci sia capitato di sentire dai tempi di “Pandemonium”. Le atmosfere inoltre non sono certo quelle viscerali e soffocanti da “metal band incompresa” che hanno caratterizzato la produzione dei Killing Joke negli anni Novanta e nei primi decenni del duemila, ma bensì sono sontuose e articolate architetture di industrial rock nerissimo, costruite da una band che sta evidentemente riscoprendo le proprie origini e dirigendosi in direzioni completamente nuove allo stesso tempo. Il ritorno di “Big” Paul Fergusson dietro alla batteria è senz’altro il motivo trascinante di questo “revivalisimo futuristico” che sembra aver preso le redini della band. Il suo drumming è come sempre ispiratissimo, articolatissimo e precisissimo, ed è talmente coeso che sembra ever messo l’intera band su un binario dalla quale sembra impossibile uscire, anche a velocità supersoniche. Sono senz’altro lui e Coleman le due stelle del disco, sommo cerimoniere l’uno, cuore pulsante l’altro, con un Youth come sempre debordante al basso (e autore anche lui di questo magico “ritorno al futuro” della band grazie a delle linee di basso d’altri tempi e dal sapore molto “retrò”) e un Geordie Walker che per la prima volta in vent’anni lascia spazio ai suoi amici, si concentra sulle ritmiche e sul groove e sembra aver in parte abbandonato (purtroppo) il suo stridente e ormai stra-famoso, sludgy e brutale sound di chitarra. Basta sentire il singolo “In Cytera”, praticamente la “Love Like Blood” del nuovo millennio, assolutamente trascinata dalle tastiere, dal drumming propulsivo di Fergusson e dalla voce assolutamente esaltante di un Coleman, qui, e come in tutti gli altri episodi simili del disco, vocalmente in assoluto stato di grazia. “MMXII”, come il suo precedessore, sembra dunque una ulteriore tappa in una fase di transizione per la band. Un altro passo in un processo di rodaggio necessario per quattro musicisti che si sono ritrovati di nuovo insieme a far musica dopo vent’anni di pausa e che si ritrovano nuovamente d’innanzi una strada sconosciuta da percorrere insieme. Il disco sembra sospeso infatti tra il passato della band e un futuro che sta prendendo forma ma che è ancora sfocato. “MMXII” è forse anche il disco più vario e instintivo mai fatto dai Nostri, con canzoni che sono stilisticamente agli antipodi e tanti fattori differenti che sgomitano per determinarne il sound, davvero stavolta molto ambiguo. Tra epica malinconia (“Pole Shift”, “Trance”, “On All Hallow’s Eve), tortura post-industriale totale (ci eravamo dimenticati di dirvi che in “MMXII” ci sono delle mazzate dolorosissime come “Rapture”, “Colony Collapse”, Corporate Elect” e “Glitch” che sono le canzoni più pesanti mai scritte dalla line up originale) e dark wave plumbea e doomy (“Fema Camp” – stupenda – e “Primobile”), “MMXII” rappresenta un ennesimo ritorno di una band ormai evidentemente infallibile, che a questo punto difficilmente sbaglierà mai un colpo, ma che sta senz’altro anche affrontando un periodo molto delicato della propria esistenza e vivendo un momento di transizione che su nastro si è trasmesso con uno strano senso di ambiguità e volatilità. Il songwriting rimane comunque unico, inimitabile e ancora una volta refrattario alla critica, e le atmosfere sono come sempre surreali e ossessive. L’unico vero appunto che ci viene da fare, di peso per quanto ci riguarda, è il sound e l’uso fatto dalla chitarra di Walker che, come si accenava poc’anzi, in “MMXII” è stata messa completamente in secondo piano. Peccato. Per il resto, invece, nulla da dire: altro, ennesimo, capitolo esaltante da parte di una band ormai imprescindibile.