KILLING JOKE – Pandemonium

Pubblicato il 21/01/2019 da
voto
9.0
  • Band: KILLING JOKE
  • Durata: 01:00:32
  • Disponibile dal: 02/08/1994
  • Etichetta:
  • Butterfly Records

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Come una fenice che risorge dalle proprie ceneri, i Killing Joke hanno avuto numerose fasi di morte e rinascita nella loro carriera; una situazione che, non a caso, hanno reso rappresentativa con un brano esplicito come “The Death And Resurrection Show”, divenuto anche il titolo della loro video-biografia uscita un paio di anni fa. Ma molto prima della reunion in formazione originale del 2010, dello stato di band di culto a 360°, prima insomma di essere sulla bocca di tutti (e giustamente) come formazione seminale, per i Killing Joke ci sono stati anni di alti e bassi non indifferenti, almeno in termini di vendite e di attenzione da parte del pubblico, culminati con l’avvio degli anni Novanta. Il decennio precedente li aveva visti passare da icona del post-punk inglese a band capace di sfornare almeno tre canzoni riempipista, spostandoli decisamente verso lo spettro del pop-rock, sebbene quest’etichetta non corrispondesse esattamente alla loro proposta musicale complessiva. Tra gli elementi di spicco di questa trasformazione sicuramente aveva pesato l’ingresso in formazione di Paul Raven al posto di Martin ‘Youth’ Glover; e la cosa fa sorridere: quest’ultimo, infatti, era da sempre l’anima dub e danzereccia della band e, all’alba del 1994, era ormai lanciato solidamente come ricercato produttore di band non proprio emergenti (lavorerà, tra gli altri, con Orb, The Verve e U2…), mentre lo strafottente Paul era un marcio punk appassionato di industrial, che suonerà poi anche con Prong, Ministry e Treponem Pal. E non a caso il precedente lavoro dei Killing Joke, “Extremities, Dirt & Various Repressed Emotions”, arricchito dalla presenza di Martin Atkins (ex PIL e Ministry) dietro le pelli, li aveva mostrati sotto una nuova e più coriacea pelle… ovviamente a discapito delle vendite. Si inseguono così voci di possibili scioglimenti, Paul Raven molla il colpo e si unisce ai succitati Prong (sfornando un capolavoro come “Cleansing”, sia detto per inciso), il batterista Big Paul Ferguson è dato da tempo per disperso dietro ai suoi lavori creativi, mentre il poliedrico frontman Jaz Coleman insegue le sue follie e i suoi fantasmi esoterici in giro per il mondo.
Ed è proprio da una delle sue esperienze che “Pandemonium” prende forma concreta, venendo anticipato nel marzo del 1994 da “Exorcism”, ossia un anti-singolo per eccellenza: una traccia di sette minuti e mezzo registrata con un generatore nella Camera dei Re della piramide di Cheope, evocativa e malvagia, sospesa tra le strane presenze che la band assicura di aver percepito, le urla rauche e i colpi di tosse con cui costruisce le linee vocali Jaz e le dissonanze di basso, elettronica e batteria quasi dance (quest’ultima aggiunta in studio), perfettamente tenute insieme dall’eterno riff di chitarra: non c’è modo migliore di essere mesmerizzati e trascinati in un’altra dimensione. Con di nuovo in sella il vecchio sodale ‘Youth’, avvicendatosi al basso per la seconda di varie volte, i Killing Joke sembrano voler spiazzare nuovamente il pubblico e questa anticipazione così fuori dagli schemi ne pare la prova evidente. Nell’album, il singolo viene preceduto in scaletta dalla title-track: un pezzo circolare e ritmato che segna il ritorno del loro marchio di fabbrica e forti influenze di musica orientale nelle variazioni chitarristiche del marmoreo Geordie Walker e negli inserti di tastiera, su cui Coleman costruisce le sue ipnotiche linee vocali e regala però anche uno dei ritornelli più iconici della storia della band. Di “Exorcism” abbiamo detto, ed è così tempo di “Millennium”: retto da un riff robusto, ieratico, che metà delle band degli anni Novanta hanno sognato (o imitato), il brano offre spazio a una delle interpretazioni più trasognate, e insieme acide, di Coleman, oltre che al ritorno di una melodia arabeggiante che in qualche modo lega la maggior parte delle tracce presenti. “Communion” ha cadenze simili al primo brano, sebbene il riffing sia più sincopato e si intensifichi il senso declamatorio, forse per l’importanza del testo, che è un vero e proprio manifesto della visione della vita e del mondo come rete senza tempo e senza spazio del geniale Coleman. Arriva poi il momento in cui i Killing Joke occhieggiano al loro passato più dance, naturalmente spiazzando ogni aspettativa; “Black Moon” trova la quadra tra le suadenti linee vocali di metà anni Ottanta e i momenti più stridenti sulla base di una batteria in levare e una chitarra apertissima ed evocativa, mentre “Labyrinth” anticipa certe pulsioni di arabian disco che troveremo anni dopo nei Chemical Brothers, pur alla luce di una chitarra graffiante e totalmente metal; pulsioni che torneranno poco più avanti nella cyberpunk e adrenalinica “Whiteout”, che richiama nel riff la loro storica “Kings And Queens”. Ma in mezzo c’è posto per “Jana”, un brano elegiaco e straziante che anticipa un po’ le sonorità dilatate ed acustiche del seguente album e che affronta il tema della morte per AIDS, non senza qualche stilettata polemica e sotterranea verso l’industria farmaceutica. “Pleasures Of The Flesh” è forse l’unico brano che non colpisce al primo ascolto, nel suo apparentemente fragile equilibrio tra cupa lentezza e tribalismo, ma che sa entrare sotto pelle come il sottotesto sadomaso che permea le liriche. Chiude l’album “Mathematics Of Chaos”: pezzo mastodontico e strepitoso che poche band avrebbero il coraggio di ‘sprecare’ in chiusura e che riprende gli elementi esoterici e numerologici del primo singolo e la componente beat-oriented del corpo centrale dell’album, chiudendo perfettamente un concept album sui generis; come giusto sia per una band così poco incasellabile.
E che infatti tornerà, due anni dopo, con un lavoro guidato – come anticipato – da chitarre acustiche; che sparirà dai riflettori per oltre sette anni per tornare con nientemeno che Dave Grohl alla batteria e con un lavoro quadratissimo e mirabile (l’omonimo del 2003); che ripercorrerà quindi alcune tematiche qui presenti all’ombra della Praga sotterranea ed esoterica (in “Hosannas From The Basements Of Hell”); per poi leccarsi le ferite di un lutto incolmabile, quello di Paul Raven, e ricominciare da capo nel nuovo decennio. Con ancora in sella i quattro squatter originali di Ladbroke Grove, sempre più focalizzati, strafottenti e violenti. Come una fenice risorta dalle ceneri, appunto.

TRACKLIST

  1. Pandemonium
  2. Exorcism
  3. Millennium
  4. Communion
  5. Black Moon
  6. Labyrinth
  7. Jana
  8. Whiteout
  9. Pleasures of the Flesh
  10. Mathematics of Chaos
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