7.0
- Band: KILLSWITCH ENGAGE
- Durata: 00:42:36
- Disponibile dal: /06/2004
- Etichetta:
- Roadrunner Records
- Distributore: Universal
Ad esser sinceri, chi scrive stenta a comprendere il grande entusiasmo generato da questa nuova uscita dei melodic thrasher Killswitch Engage. Per il sottoscritto, infatti, il quintetto statunitense con il nuovo “The End Of Heartache” ha compiuto un deciso passo indietro rispetto ai precedenti due lavori, l’omonimo debutto del 2001, uscito per Ferret Records, e il fantastico ed imprevedibile “Alive Or Just Breathing” del 2002, splendido affresco a base di thrash metal, In Flames e new school hardcore che aveva, tra l’altro, segnato il passaggio alla Roadrunner Records. Questo “The End Of Heartache” ad un primo ascolto non sembra poi molto distante dal precedente album, ma è solo con fruizioni più attente che ci si rende conto che la vena creativa dei nostri si sia un po’ impantanata. Il nuovo capitolo parte senz’altro dai lidi musicali di “Alive Or Just Breathing”, ma porta il tutto su territori molto più composti ed easy listening, sempre adeguatamente heavy, ma decisamente più lineari che in passato, con una ancora più spiccata propensione alla melodia e al ritornello in voce pulita. E sono proprio i ritornelli ad essere la vera croce di questo disco: a parte il fatto che la maggior parte delle song ormai seguono sempre la scialba struttura strofa/chorus – strofa/chorus – stacco/chorus e che questi ritornelli risultano assai meno coinvolgenti di quelli contenuti nei dischi precedenti, ma il vero problema è che le canzoni ne sono totalmente saturate! Il successo commerciale di immediati singoli come “Fixation On The Darkness” o “My Last Serenade” ha senz’altro portato la band ad orientarsi ancora di più su questo stile, ma qui a tratti si esagera: i ritornelli sono inseriti nelle song quasi forzatamente e ripetuti sino allo spasismo… con il risultato che a volte viene quasi il nervoso perché molti pezzi, quando sembrano sul punto di esplodere, perdono continuamente tensione a causa dell’ennesimo chorus o break melodico, che ne spezza l’andatura! Non c’è proprio nulla da appuntare al nuovo arrivato Howard Jones, la cui voce pulita è davvero molto calda ed espressiva, e altrettanto si può fare con la produzione, l’esecuzione e l’artwork, tutti di ottimo livello. Sono proprio le composizioni a non convincere granché… “When Darkness Falls”, “Rose Of Sharyn”, la title track, “World Ablaze” (con la bellissima coda acustica “And Embers Rise”) e “Wasted Sacrifice” sono spettacolari: ben strutturate, coinvolgenti e veramente ben arrangiate. Tutte le altre decollano a tratti, essendo costruite su riff spesso anonimi, tanto che di esse ci si ricorda solo a causa dell’odioso chorus, che da solo porta via quasi il 50% del minutaggio di ogni brano. Un gran peccato, se si pensa alle potenzialità di questi musicisti. Abbiamo dunque già perso Adam Dutkiewicz e compagni dopo solo tre dischi? E’ proprio vero che andare in tour con i Soilwork fa male!