8.0
- Band: KING 810
- Durata: 01.08.07
- Disponibile dal: 26/08/2014
- Etichetta:
- Roadrunner Records
- Distributore: Warner Bros
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Di fronte all’imponente meccanismo pubblicitario che Roadrunner ha dedicato ai King 810 la reazione più facile è l’odio, velato da quel cinismo da tastiera che tende a screditare, in ogni maniera possibile, una proposta musicale che di fatto non è rivoluzionaria. Ad un ascolto disattento infatti i brani di “proem”, che anticipavano “Memoirs Of A Murderer” riportano a una compilation del 2002, periodo in cui il nu metal regnava sovrano e le major facevano a gara per firmare qualche sensation da dare in pasto all’ascoltatore casuale, che dietro l’ombra dei Korn avrebbe potuto far rientrare l’investimento. Perchè i King 810 meritano tutto questo? E’ sufficiente avere un 50 Cent bianco e un contorno gangsta per giustificare l’hype attorno all’ennesima formazione con l’immagine da duri? La chiave di lettura chi scrive l’ha avuta inquadrando il frontman David Gunn: il piazzato 28enne ginger dallo sguardo di ghiaccio regala una prestazione fuori dalla norma, inoltre il suo stile vocale immediatamente riconoscibile, tra il Corey Taylor dei primi Slipknot e l’espressività del giovane Robb Flynn, marchia a fuoco l’intero lavoro, in una prova drammatica ed esasperata, in un mix datato ma sicuramente più vivo e toccante dello sterile esercito di urlatori della scena metalcore. L’immaginario lirico di Gunn ci trasporta in un’apocalisse urbana di violenza, miseria e tensione sociale in maniera vivida e dolorosa, che riporta ai capolavori dei ’90 come “Urban Discipline”, “Burn My Eyes” o “In The Name Of Suffering”. Senza fare altri paragoni scomodi erano anni che non si assisteva ad un debutto così fiero e catartico, che con il contesto reale dell’inferno di Flint, le storie destabilizzanti sul passato dei componenti del gruppo e della gang/famiglia allargata creano un senso di pericolo tangibile, sensazione ormai cancellata da anni di inoffensiva ripetitività discografica. Quando da una parte ci sono formazioni come gli Upon A Burning Body che inscenano un rapimento e vengono smascherati dalla stessa label e dall’altra ci si immerge nella dura realtà del freddo metallo di lame, pistole e manette, pur restando in un contesto poetico lo squilibrio è evidente, si fa terra bruciata attorno. E’ la rabbia potente e cruda, derivata da un’esperienza di prima mano, assieme a quel morboso voyeurismo proprio dell’essere umano, che rende “Memoirs Of A Murderer” così avvincente e affascinante. Parlando dell’album anche chi ha apprezzato il contenuto di “proem” (l’eccezionale “Fat Around The Heart” su tutte) avrà di che sorprendersi: continuando sul sentiero tracciato dall’EP pezzi come la brutale “Best Nite Of My Life”, la lenta e pesante “Treading And Trodden”, la sinistra “Boogeyman” e la groovy “War Outside” confermano quanto di buono la band aveva presentato nell’anticipo. Una bomba come “Murder Murder Murder” inoltre, ripescata dal famigerato “Midwest Monsters”EP, sarà probabilmente il prossimo deflagrante singolo che li consacrerà come ‘next big thing’ durante il tour americano con Slipknot e Korn. A sorpresa viene poi svelato un lato più intimista e sorprendente che ridefinisce la profondità artistica della band, con una serie di perle inattese che diversificano l’opera e, paradossalmente, colpiranno l’ascoltatore in maniera ancor più dura: il folk western di “Take It” ne è il primo esempio, a staccare dall’incipit truculento delle prime tracce. Arriva successivamente il battito elettronico di “eyes” ad ampiare il terreno di gioco, svelando una sensibilità che non credevamo propria del gruppo e la ballata gotica “Devil Don’t Cry” fa salire un brivido lungo la schiena citando addirittura Nick Cave And The Bad Seeds. Si chiude in bellezza con “State Of Nature”, che evoca i Nine Inch Nails di “Hurt” mentre si esamina la nostra condizione di esseri umani e tutto sfuma verso il nero, sopra un ultimo ritornello sofferto. David Gunn ha il talento visionario, la poetica, la fermezza e il carisma per fare la differenza: per la sua band, per la sua gang e per quel buco di culo di città che potrà esser messa sulla mappa per qualcosa di diverso dal record di omicidi, ma anche per il metal moderno, che ha un disperato bisogno di punti di riferimento. Chi ascolta potrà guardare il Diavolo negli occhi, c’è un nuovo Nemico Pubblico. E’ l’inizio di qualcosa di grande per i King 810.