8.5
- Band: KING DIAMOND
- Durata: 01:02:05
- Disponibile dal: 01/07/1998
- Etichetta:
- Massacre Records
- Distributore: Audioglobe
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Ammettiamolo, la rubrica I Bellissimi senza almeno un album di King Diamond non ci poteva proprio stare… ed eccoci dunque qui, in un infuocato luglio meneghino, a colmare questa mancanza presentandovi il ‘classico’ del 1998 “Voodoo”. La parola ‘classico’ è stata volontariamente virgolettata per rassicurarvi sul fatto che anche chi scrive considera veri classici del Re Diamante i primi quattro dischi, in particolare i mitici “Them” e “Abigail”; però, allo stesso tempo, si deve ammettere anche che “Voodoo” è veramente un grande album. Un disco grandissimo in realtà, degno non solo di essere considerato per questa rubrica, ma addirittura annoverabile tra i più rappresentativi di una carriera che tocca ormai i trent’anni. Esce infatti dopo capitoli di un certo valore ma controversi come “The Eye” e “The Graveyard” ed è l’album in cui il truccatissimo Re Diamante torna appieno allo stile e ai temi dei suoi album migliori, col risultato che “Voodoo” risulta forse il più iconico tra i dischi degli anni ’90, e di sicuro anche quello più bello dal punto di vista del concept e delle liriche. In “Voodoo” si trovano intatti i vari temi portanti dei tre lavori già citati: c‘è una casa inquietante e dal fosco passato come in “Abigail” ed è protagonista un’agghiacciante infestazione di malvagi spiriti dell’aldilà, come nella trama di “Them”. Certo, sono argomenti già sentiti e sicuramente non novità nell’immaginario dei dischi di King Diamond, ma che mai come in questo disco erano stati sviluppati con una tale compenetrazione nella trama e nella loro ambientazione geografica. Ambientazione che è ovviamente il misterioso stato della Louisiana, con i suoi malefici e i suoi enigmi, regione che viene rappresentata nella musica usando arrangiamenti sinistri e malati, con l’aggiunta qua e là di interessanti effetti sonori come gli inquietanti tamburi tribali presenti nella titletrack. L’apertura dopo l’intro di ordinanza è affidata come di consueto a una diretta metalsong, “LOA House”, che con i chitarroni della coppia LaRoque/Simonsen apre le danze in modo molto simile a quanto fatto su “Conspiracy” con l’immortale “At The Graves”. Ogni battito successivo della tracklist è però sempre un successo: i tamburi della già citata “Voodoo” sono un piacevole tocco inedito e così lo è anche il suono di uno degli assoli, eseguito per l’occasione dall’ospite Dimebag Darrell; le angoscianti linee vocali di “Salem” portano avanti un discorso musicale che non conosce pause e non vuole accettare momenti di tranquillità e catturano subito l’attenzione, introducendo nel sound anche un elemento quasi prog. Il disco è un continuo crescendo, sia nella trama, sempre più malvagia e sinistra, sia nella musica, che si ricopre sempre di più di ritmiche elaborate e assoli entusiasmanti. Le atmosfere si fanno sempre più lugubri e claustrofobiche, mentre la povera famiglia vittima della casa infestata affronta paure sempre peggiori e rischia di perdere quanto di più caro ha, ovvero il bambino ancora non nato… fino all’esplosivo finale, che non vi riveliamo, ma che conclude con il famigerato ‘colpo di scena’ una trama davvero senza cedimenti. Che dire, non sarà l’album musicalmente migliore o storicamente più importante del folle cantastorie danese, ma di sicuro in queste quattordici, malate tracce potrete trovare tutto quello che lo hanno reso grande negli anni, raccolto in una splendida cornice e esaltato da una storia davvero da batticuore. Un otto e mezzo secco… senza ombra di dubbio.