7.0
- Band: KING
- Durata: 00:42:18
- Disponibile dal: 17/11/2023
- Etichetta:
- Soulseller Records
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L’impressione che avevamo avuto ascoltando “Coldest Of Cold”, precedente lavoro degli australiani King, del 2019, era quella di un gruppo che tutto sommato non credeva così tanto a quello che stava facendo; avendo optato infatti per abbondanti reminiscenze black metal alla Immortal dell’ultima era con Abbath, la band ci sembrava aver voluto percorrere un percorso che forse non era proprio il suo, e un po’ devono averlo capito anche loro.
Dismessi infatti i panni intrisi di death melodico fortemente nero, i King tornano pestando l’acceleratore con un più sostanziale death metal melodico di matrici ben distinte, senza abbandonare del tutto le derive black ma nemmeno cercando di voler apparire quello che non sono. E la cosa giova tanto ai quattro quanto alla musica di “Fury And Death”: aperto da una copertina epica e che fa ben sperare, l’album trasmette da subito una versione immaginifica e potente del metal proposto.
Un sound deflagrante irrompe immediatamente dopo l’ingannevole intro acustica, con un brano, “Perception Ignited”, assolutamente d’impatto, velocissimo, roccioso e che lascia ben sperare per i quarantadue minuti che andremo ad ascoltare. Si va davvero a cento all’ora, con un riffing gustosissimo in grado di farla da padrone anche nella successiva “Volcano” e che fondamentalmente sarà quello che sorreggerà le composizione del disco.
Non mancano derive guerresche che affiorano qua e là (un certo che degli Amon Amarth probabilmente non abbandonerà mai i gusti della band), e se è vero che non si fa a meno di – come detto – alcuni afflati black-thrash (ritornano anche gli Immortal, come in “Mountains Of Ice”), il sapore prevalente è quello che ci ricorda di più certi In Flames di fine ‘90 che non, per dire, i Satyricon.
La genuinità paga, e brani come “Into The Fire” o la chiusura ad opera della gradevole “To The Stars” sono sintomi di un disco che scorre bene, con delle aperture notevoli e che pur non raggiungendo mai vette da farci davvero gridare al miracolo (ci sono dei passaggi un po’ troppo derivativi, come “Black Dimension”, che ci pare di aver già sentito molte volte nella nostra vita) fa percepire che la band di Melbourne abbia trovato una dimensione ben chiara, frutto delle opere precedenti, e che al terzo lavoro sembra aver capito dove volersi posizionare.