7.5
- Band: KINGCROW
- Durata: 00:54:03
- Disponibile dal: 12/02/2013
- Etichetta:
- Sensory Records
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Due anni e mezzo dopo il superlativo “Phlegethon”, che Metalitalia.com non esitò ad eleggere Top Album, ritornano i romani Kingcrow con quello che veniva atteso come il disco della definitiva consacrazione. Il lavoro del 2010, infatti, consegnò al mondo – del tutto inaspettatamente, per la verità – una band di spessore e con molto da dire e che ebbe conseguentemente l’onore di calcare il palco del celebre ProgPower USA e di girare l’Europa supportando i Jon Oliva’s Pain e i Redemption. Dopo tutta questa gloria, la band era quindi attesa dalla prova più difficile, ossia confermare quanto di buono fatto nel passato recente, tramite una formula che consisteva in un intelligente mix tra progressive metal moderno e rock progressivo anni Settanta. Siamo felici di affermare che le attese non vengono tradite: i Kingcrow riescono indubbiamente nell’ardua impresa di confermarsi su altissimi livelli, ma lo fanno cambiando inaspettatamente le carte in tavola, senza snaturare però del tutto il proprio stile. Questa volta i Nostri puntano maggiormente sulla tradizione dei seventies, spogliando la propria musica di numerosi strati metallici e virando con decisione verso, appunto, uno stile molto tradizionale che guarda anche alle atmosfere moderne e cupe di artisti come Anathema e Steven Wilson. Il trait d’union più evidente con il recente passato è tutto nell’opener “Right Before”, pezzo in linea con il progressive di Dream Theater e Pain Of Salvation. La seguente “This Ain’t Another Love Song” vede un Diego Marchesi eccellere tra atmosfere figlie dei Pink Floyd e parti metalliche, mentre la seguente “The Hatch” (uno dei pezzi migliori dell’intero lavoro) strabilia per la facilità con cui i Kingcrow riescono a coniugare un ritornello dannatamente catchy con trame articolate. Anche qui il metal si sente, ma a farla da padrone sono le evidenti influenze King Crimson e Yes. “Morning Rain”, come si può evincere dal titolo, ci trasporta in una dimensione uggiosa, invernale e crepuscolare, con un Marchesi autore di una prova che riempie il cuore; al contrario, con “The Drowning Line” il gruppo torna a picchiare in maniera decisa. “The Glass Fortress” richiama fortemente i Porcupine Tree, mentre “Summer ’97”, oltre a portare in dote le sonorità del decennio menzionato nel titolo, presenta forti dosi di chitarre seventies e sixties, queste ultime utilizzate più di una volta nel corso dell’album. Il disco si conclude con la titletrack che, oltre a racchiudere tutte ciò che i Kingcrow hanno proposto nel corso di “In Crescendo”, offre interessanti spunti orchestrali. Rispetto al precedente lavoro forse la band perde qualcosa in spontaneità, ma nonostante ciò, riesce ancora una volta a centrare l’obiettivo e a partorire un disco che la lancerà definitivamente nel firmamento del progressive internazionale.