4.5
- Band: KINGDOM COME
- Durata: 00:59:53
- Disponibile dal: /10/2004
- Etichetta:
- Frontiers
- Distributore: Frontiers
Si dice, spesso e volentieri, che una delle migliori doti di un recensore sia la capacità di essere oggettivo, in ogni situazione possibile. Si dice, altresì, che una delle più spiccate qualità nella recensione di un disco, oltre alla padronanza di un linguaggio formale corretto e di conoscenze musicali, sia costituita dall’usanza di dare svariati ascolti ad un disco, in modo da poterlo valutare nel migliore dei modi possibili. Ebbene, il sottoscritto si è impegnato quanto più ha potuto per seguire alla lettera queste due semplici regole nell’ascolto e nel giudizio del nuovo “Perpetual”, ultima fatica uscita dalla mente dell’ormai one man-band Kingdom Come: il risultato è che, in quanto al secondo punto, oggettivamente, questo disco non è assolutamente all’altezza e che, per quanto riguarda gli ascolti prolungati, essi non hanno fatto altro che consolidare definitivamente tale convinzione. Eh sì, il buon caro Lenny Wolf, oltre a divertirsi impegnandosi in atteggiamenti da rockstar viziata (quale assolutamente non è), ha perso le capacità di eccellente songwriter che gli hanno visto mettere la firma su capolavori quali “In Your Face” e “Hands Of Time”, rivelandosi lo sbiadito fantasma di ciò che era una volta, e ha perso, cosa forse ancor più importante, il tocco d’oro che lo contraddistingueva dietro il microfono, tanto che la sua voce vellutata e raffinata si è ora praticamente trasformata in un fastidioso gracchiare stridulo che dà noia, già dai primi secondi, alle orecchie di chi era abituato a sentire Lenny spadroneggiare su canzoni come la storica “Stargazer”. Signore e signori, fan della Venuta del Regno e lettori occasionali, “Perpetual”, checché il signor Wolf lo presenti come ‘il disco più heavy mai registrato dai Kingdom Come!’, è la classica ciofeca di rock commerciale fatta su misura per MTV: per metà ballate (delle quali si salvano solo le discrete “Crown Of Moscow” e “Silhouette Paintings”) e per il resto canzoni più ‘heavy’ caratterizzate da strofe melodiche e ritornelli più pompati, con la classica distorsione moderna tipica del rock alternativo di oggi, delle quali le uniche che ci limitiamo a menzionare e che riescono a raggiungere una stentata sufficienza sono l’opener “Gotta Move Now” e la cadenzata “Time To Realign”; non aggiungo parole, inoltre, per l’abisso compositivo in cui il disco precipita dopo le prime song della tracklist, scialbe copie di quelle precedenti, che non hanno nemmen ragione di esistere. Non c’è molto da aggiungere, se non che non tarda a farsi sentire il sospetto che il vero rock, come gli anni Ottanta insegnavano, non è morto per ricambio generazionale, ma per la ‘bravura’ e la ‘personalità’ di persone come il signor Lenny Wolf, a cui qualcuno, forse, dovrebbe ricordare lo spirito della musica chiamata heavy metal.