6.5
- Band: KISSIN' DYNAMITE
- Durata: 00:47:52
- Disponibile dal: 08/07/2016
- Etichetta:
- AFM Records
- Distributore: Audioglobe
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Ad un paio d’anni di distanza dalla pubblicazione del discreto “Megalomania”, i Kissin’ Dynamite rilasciano un’opera dalla quale emerge la chiara volontà di recidere definitivamente (?) il cordone ombelicale dai tradizionali schemi dell’hair metal, per approdare ad un linguaggio sonoro più maturo, moderno e liricamente impegnato. Sin dall’inequivocabile copertina, “Generation Goodbye” può essere inteso come una sorta di concept album apocrifo, in grado di offrirci un punto di vista estremamente critico e disincantato nei confronti della società attuale. Al contempo, la compagine tedesca ha innescato una sensibile rivoluzione all’interno delle proprie dinamiche di gioco, compiendo la coraggiosa scelta di curare ogni singolo aspetto del proprio business. A tal proposito, il cantante e compositore Hannes Braun si è assunto il gravoso onere di occuparsi della produzione, avvolgendo gli undici episodi in una veste sonora tremendamente attuale, satura di suoni potenti, corposi e luccicanti. Peccato però doverci imbattere ancora una volta in un disco verosimilmente esplosivo, letteralmente ridimensionato da una setlist che alterna parecchie luci ad altrettante ombre. Si parte alla grande con la title track, tradizionale midtempo a presa rapida caratterizzato da un chorus a dir poco ammiccante, appositamente studiato per fare faville dal vivo. I Nostri premono a tavoletta il pedale dell’acceleratore con “Hashtag Your Life”, gagliardo uptempo arricchito da ficcanti e portentose melodie vocali. “She Came She Saw” è un futuristico ‘footstompin’ arricchito da un abbagliante groove dubstep che duella all’ultimo sangue con un vertiginoso assolo di chitarra. Piace altresì l’irregolare geometria delineata dall’anthemica “Somebody To Hate”, mentre spetta all’emozionante “If Clocks Were Running Backwards” smorzare con efficacia la tensione accumulata fino ad ora. “Masterpiece” invece si presenta come una sontuosa ballad ricoperta da uno strato indigesto di melassa, mentre “Flying Colours” è un potenziale inno impietosamente castrato da coretti stucchevoli e irritanti. “Utopia” appare ai nostri occhi come un tronfio, ampolloso e ridondante epilogo vergato da un gruppo sino ad ora incapace di spiccare definitivamente il volo. Errare è umano, ma perseverare è diabolico!