7.5
- Band: KLOGR
- Durata: 00:38:00
- Disponibile dal: 01/11/2024
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Con una discografia arrivata a sei album dal 2012 ad oggi, il conto è presto fatto, ovvero la classica media di un nuovo album ogni due anni. Eppure la fredda media matematica stavolta trae in inganno, perchè i primi cinque capitoli sono stati rilasciati nel giro di un lustro, mentre “Fractured Realities” segna il ritorno sulle scene dei Klogr dopo ben sette anni, un ritardo dovuto ovviamente alla pausa pandemica, ma anche a motivazioni personali, tra cui l’avvio di progetti paralleli e l’avvicendamento di alcuni membri.
La band dal titolo logaritmico si trova dunque oggi ad affrontare un nuovo inizio, in un contesto alternative / modern metal ulteriormente evolutosi in cui i Klogr si trovano in una sorta di terra di mezzo (troppo moderni per i nostalgici degli anni Novanta, meno appealing per i seguaci delle nuove tendenze); incuranti di tutto ciò, al netto di una produzione al passo coi tempi e che nulla ha da invidiare a certi colleghi d’oltreoceano, i quattro connazionali restano fedeli al loro sound, presentando dieci pezzi che affondano le radici nel grunge (Soundgarden, Alice in Chains) e derivati (Staind, Chevelle, Sevendust), senza dimenticare un retrogusto industrial (Nine Inch Nails, Rob Zombie).
La partenza con “Early Wounds” – evidente richiamo ai Rusty Wounds, progetto parallelo del frontman più orientato all’elettronica – chiarisce subito come la lunga assenza non abbia arrugginito le articolazioni di Rusty e soci, abili come pochi (nello Stivale e non) a fondere l’immediatezza del post grunge con arrangiamenti più raffinati in grado di distinguerli dalla pletora di manovali dell’accordatura in re. Un buon esempio in questo senso è rappresentato dai saliscendi melodici di “Gravity Of Fear” e dalla più linkinparkiana “The Twisted Art” (con Albert Eno dei Kismet), due pezzi che, pur senza inventare nulla, si mangiano a colazione gli ultimi Seether. In generale, comunque, la chimica tra il mastermind Rusty e il nuovo chitarrista Crivez garantisce un interessante mix con qualche gradevole variazione solista (“Lead Wings”, “Waking World”) in una trama sonora dove a farla da padrone sono il basso pulsante ed effetti di pedale nella tradizione dei migliori Stereomud.
Un disco vecchia scuola da gustare in un’ottica multidimensionale, dall’artwork di copertina ai numerosi videoclip di accompagnamento, che segna un gradito ritorno per la band di Modena, portabandiera del metal made in Italy da esportazione.