7.5
- Band: KLONE
- Durata: 00:42:16
- Disponibile dal: 08/11/2024
- Etichetta:
- Pelagic Records
Spotify:
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Nati nel lontano 1995 a Poitiers come Sowat, i Klone hanno assunto il moniker attuale quattro anni più tardi, giungendo al debutto nel 2004.
Il genere proposto agli inizi poteva essere definito come un progressive metal arcigno che mescolava influenze quali Porcupine Tree, Opeth e Gojira ma, con il tempo e con i diversi cambi di formazione, i francesi si sono spostati verso un progressive rock con qualche sentore alternative, avvicinandosi di più ad ultimi Anathema o Riverside e, non a caso, la transizione completa è coincisa con l’approdo ad un’etichetta come la Kscope, in occasione della pubblicazione di “Le Grand Voyage” nel 2019.
Il recente contratto con Pelagic Records, label specializzata in sonorità decisamente più forti, avrebbe potuto far pensare ad un ritorno, sotto qualche forma, alle asperità del passato, invece il decimo disco dei Klone prosegue sulla strada della melodia e lo fa con determinazione e sicurezza: le strutture sono più semplici, con una tecnica strumentale rimarchevole espressa sottoforma di arrangiamenti eleganti, la durata dell’intera opera è ridotta rispetto a “Meanwhile”, che sfiorava l’ora e, in generale, l’atmosfera si mantiene in bilico tra malinconia ed ottimismo, con armonie placide e rassicuranti.
La voce di Yann Ligner è ricca di sfumature come non mai e ben si adatta ad un tappeto sonoro fatto di tinte tenui, con le distorsioni ridotte al minimo e le chitarre lontane dall’impeto dell’ormai lontano passato: si va dalle eteree sonorità di “After The Sun”, vicine agli ultimi Katatonia, ai ricami della sei corde nella pigra “Desire Line”, fino a “The Unseen”, morbida e calda, con un finale che è un’esplosione di colori mitigata da un assolo di sassofono, tutti brani che colpiscono nel segno per la loro indole intima e la loro intensità.
L’unica concessione a passaggi più prog è rappresentata dai dodici minuti di “Spring”, posta in chiusura, che si basa su un’intelaiatura più ingarbugliata, fatta di umori differenti, solare fino alla parte centrale e poi più oscura, con un battito cardiaco che si scioglie in una lunga coda strumentale e vagamente psichedelica.
Essere invisibili, proprio come suggerisce il titolo di un disco che è fatto di contemplazioni e riflessioni, e nel quale i crescendo sono utilizzati per accendere vibrazioni: di metal in senso stretto, nella versione attuale dei Klone, non è rimasto molto, anzi, qua e là si guarda addirittura ad una forma di pop raffinato ed introspettivo, ma la formula funziona, soprattutto grazie ad una fase compositiva senza punti deboli ed alla capacità di tutti gli interpreti di darle vita in modo emozionante.