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- Band: KONG
- Durata:
- Disponibile dal: //2001
Un nome sconosciuto a molti quello degli olandesi Kong. Sconosciuto più che altro per il fatto che con una proposta ostica come la loro è molto difficile rientrare in un genere e, di conseguenza, crearsi un bacino di pubblico solido, non fosse altro perchè con la mostruosa settorializzazione che coinvolge fanzine e riviste, i Kong difficilmente troveranno spazio tra le pagine patinate europee.
Sono molto felice, dunque, di portare alla luce una proposta tanto interessante, che non manca, in certi frangenti, di diventare accattivante anche per quella parte dell’audience metal che non si tappa le orecchie ogni volta che sente un sequencer.
Allora allora….da dove cominciare…i Kong suonano, usando una definizione certamente grezza, un incrocio tra il prog-rock , il metal e l’elettronica. Questo è quanto ad un ascolto superficiale emerge dalla raccolta che recensisco. Brani, come ci spiega il titolo del greatest hits, che percorrono un arco di sette anni, periodo in cui le composizioni dei Kong si sono evolute in maniera coerente ricercando nell’elettronica nuove tonalità espressive da affiancare alle chitarre sempre robuste e presenti. I pezzi (tutti interamente strumentali) sono per lo più molto complessi, ritmicamente ricercati, figli del prog colto che annoverò esponenti dalle geniali doti compositive soprattutto in Italia (Banco del mutuo soccorso, Rovescio della medaglia, Arti e Mestieri…); nonostante questa fondamentale complessità, l’uso sapiente di drum machines e campionatori porta i Kong alla ricerca di accattivanti groove che affondano le radici nel big beat e, a volte, nella drum’n base. Musica, quindi, tutt’altro che unidimensionale, in cui la parola “piattezza” non è nemmeno contemplata, in favore di una sontuosa mole di influenze disparatissime che, volendo essere onesti, potrebbero spiazzare un ascoltatore che li sottovaluti.
A questo proposito, però, mi si permetta una riflessione: il mercato della musica “alternativa” (in senso più che vasto) ristagna ormai da anni nel corteggiamento di bands che fanno della pochezza di idee e della reciproca ricopiatura da quarta elementare una bandiera da mostrare fieri. Penso a buona parte dell’ammuffita scena nu-metal che, a parte i veri leaders (Deftones, System of a Down, Puya e pochissimi altri), rappresenta un abisso di banalità. Non solo. Penso alle etichette metal europee più potenti che fanno dei loro gruppi di punta serbatoio monetario per produrre bands che raramente dicono qualcosa di nuovo. Alla luce di queste elementari considerazioni, viva i cervellotici, complicati, ermetici Kong, che fanno del loro meglio per scappare lontano dai cataloghi e dalle liste. Dalle etichette insomma.