5.0
- Band: KONKHRA
- Durata: 00:46:16
- Disponibile dal: 29/11/2024
- Etichetta:
- Hammerheart Records
Spotify:
Apple Music non ancora disponibile
Il ritorno dei Konkhra si presenta come un ennesimo tentativo di rinnovamento, dopo il generalmente modesto “Alpha and the Omega” del 2019. A cinque anni da quella prova, i veterani danesi tornano tuttavia con una nuova opera che evidenzia con ancora più insistenza le pecche del repertorio recente, da un songwriting macchinoso a una generale mancanza di ispirazione anche nei momenti più lineari.
Rispetto al disco precedente, si percepisce come la componente death metal sia qui non troppo ostentata per favorire un ritorno a un suono meno massiccio, più vicino a un thrash-death che sembra talvolta cercare una nicchia tra i recenti Testament e i Machine Head più metal degli ultimi tempi. Termini di paragone da prendere con le pinze, ovviamente, perché la band evoca entrambi alla lontana, più per un’impostazione a livello di riffing e di attitudine che di qualità.
Molti dei brani si sviluppano intorno a uno o due riff, ripetuti quasi ossessivamente, e spesso non riescono a evolversi in qualcosa di più articolato o interessante. L’opener/title-track mette in luce i limiti di questo metodo compositivo: un riff portante sulle prime anche gradevole, che però si ripete senza un chiaro sviluppo, con una semplicità tematica che diventa rapidamente prevedibile. Discorso applicabile anche e soprattutto a “Nothing Can Save You”, il cui incipit mostra una palese mancanza di profondità e creatività nel giro di pochi secondi.
La voce di Anders Lundemark qui abbandona in parte il growl per adottare un approccio più rauco e diretto, probabilmente nel tentativo di ricreare le arie di dischi a suo tempo apprezzati come “Weed Out the Weak”. Questo cambiamento, tuttavia, resta più nelle intenzioni che nei risultati: nonostante l’album tenti di recuperare una certa dinamicità rispetto ai toni più monolitici di “Alpha and the Omega”, i pezzi soffrono appunto di una struttura complessiva generalmente povera o comunque priva di brio, restando su un livello tutto sommato inferiore anche a quello dell’ultima fatica.
Tra le poche tracce che riescono a emergere dal resto dell’album, “Artificial Sun” rappresenta un’eccezione: con uno sviluppo leggermente più variegato rispetto agli altri brani, questa traccia si distingue per un’energia che pare rivelare il potenziale del nuovo approccio thrash-death che i danesi hanno tentato di abbracciare. Tuttavia, episodi come questo sono troppo sporadici per riuscire a compensare un lavoro che, nel complesso, lascia tiepidi.
Ai Konkhra non si chiede certo chissà quale inventiva – del resto la loro massima hit è una canzone semplice e contagiosa come “Facelift” – tuttavia, da una formazione con una carriera così longeva ci si aspetterebbe almeno una maggiore padronanza nel costruire riff e strutture che possano colpire l’ascoltatore. Quando anche questi elementi fondamentali mancano, come accade in gran parte di questo lavoro, è difficile per la band farsi notare, soprattutto in un panorama metal contemporaneo sempre più affollato e competitivo.