9.0
- Band: KORN
- Durata: 01:05:46
- Disponibile dal: 10/11/1994
- Etichetta:
- Epic
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Uno dei debut album più sconvolgenti, influenti, personali e assolutamente riusciti, in ambito metal, è sicuramente l’omonimo album della band di Bakersfield, i Korn. Una volta tanto in fase di recensione ci soffermiamo a parlare dell’artwork del disco, essendo probabilmente una delle copertine più famose e viste tra gli scaffali dei negozi musicali. Una copertina che funge quasi da introduzione a quelle che sono le tematiche e le atmosfere del disco, con una bambina su un’altalena che scorge una figura minacciosa che le sta di fronte. Inquietante è la copertina, ma le atmosfere che escono dalle casse quando viene premuto il tasto Play per dedicarsi all’ascolto del disco sono anche peggio: quello che pervade l’ascoltatore è un senso di irreparabile, plumbea e folle disperazione. La voce di Jonathan Davis ha sicuramente un peso specifico notevole nell’economia dei brani dei Korn, riuscendo a trasmettere, tramite il suo personalissimo modo di cantare, tutta la frustrazione e la disperazione che affiorano anche dai suoi testi. La sua voce e il suo modo di cantare sono completamente in balìa di quelli che sono i malesseri esistenziali del portatore che, in uno schizofrenico connubio di grida – urlate davvero, con tutto il fiato che si ha in gola – sussurri, respiri, affanni, spoken vocals e ritornelli stonati, riesce a dare vita ad una modalità espressiva davvero unica e irripetibile nel suo genere. Jonathan Davis è quindi un po’ il mattatore di questo disco e si potrebbe persino dire che egli sia stato, per una generazione di adolescenti, una sorta di “santone”. Grazie alla sua performance su questo disco, infatti, orde di ragazzi si sono incuriositi e hanno cercato di capire quali fossero i motivi di tanta disperazione finendo poi per appassionarsi ad un genere che in seguito ebbe una diffusione planetaria. Ma sarebbe deleterio da parte nostra, che a distanza di qualche anno siamo qua ad analizzare questo album, non menzionare l’ottimo lavoro svolto dagli altri componenti del gruppo, iniziando dal magistrale lavoro di chitarre svolto da Munky e Head che, senza l’utilizzo di un solo assolo, vanno a dar vita ad un tappeto musicale assolutamente impeccabile. Fischi acuti, prolungati, che a tratti parrebbero quasi campionature tastieristiche, caratterizzano le strofe delle canzoni, coadiuvate da un lavoro maiuscolo ad opera di Fieldy (bassista) e del suo inconfodibile stile slappato dal retrogusto funky. Memorabili e assolutamente essenziali invece sono i riff portanti dei vari brani, supportati dal marziale operato di David Silveira, in un incedere secco, quadrato, terribilmente intenso ma semplice, quasi basico. Questi brani infatti sono formati da riff di semplice fattura, giocati su poche bassissime note, ma con ritmiche assolutamente esaltanti, saltellanti e anche abbastanza orecchiabili. La produzione di questo album è cruda e i suoni sono secchi e scarni, ma si sposano perfettamente con le atmosfere delle singole canzoni. I brani: tra i più famosi e significativi citiamo la opening track, un inizio di quelli che non si dimenticano! “Blind”, è sicuramente una delle canzoni più rappresentative del suono dei Korn, con quel suo crescendo iniziale che sfocia in un riff che scatenerà le folle ai concerti al grido di “Are You Ready?”. Come non parlare poi della decadente e schizoide “Clown”, o di “Faget”, uno dei brani in cui emerge al meglio lo stile e la disperazione del cantato di Jonathan Davis, con questo finale ripetitivo ascoltando il quale però è praticamente impossibile rimanere impassibili (“All my life, who am I?”)? Doveroso poi menzionare la cantilenante filastrocca che porta il nome di “Shoots And Ladders” con il suo celebre inizio di cornamusa e il suo incedere apparentemente innocuo che sfocia però in rabbiosissimi e adrenalinici stacchi che costringono l’ascoltatore ad abbassare la testa e sbatterla a ritmo. E poi c’è la conclusiva “Daddy”, uno dei brani più belli e sofferti della band, con il suo testo autobiografico nel quale il cantante mette a nudo gli abusi sessuali subiti durante l’infanzia. La parte finale del brano è assolutamente angosciante, realmente da brividi lungo la schiena, e termina in un lungo pianto del frontman che esce dallo studio al termine del brano. Questi sono soltanto gli episodi più significativi del disco, ma in tutta la durata del lavoro non si ha un solo calo di tensione e francamente non toglieremmo dalla tracklist nemmeno una canzone. “Korn” è un album che ha segnato l’inizio di un’era, di un genere (quello che verrà poi chiamato nu-metal) e che ha spianato la strada al successo planetario dei Korn, un gruppo che per qualche album commetterà davvero ben pochi errori. Si può non amare il genere in questione, ma non si può negare l’importanza storica, la fortissima personalità e l’intensità di questo disco: un masterpiece assoluto.