6.5
- Band: KORN
- Durata: 00:53:24
- Disponibile dal: //2007
- Etichetta:
- EMI
Ogni nuovo album che il quartetto americano produce dà sempre più l’impressione generale di portare la band in un baratro da cui è impossibile uscire. Tutto ciò è sempre e comunque vero? Forse, di certo se dietro la tastiera di un pc c’è il solito nostalgico del nu-metal non saranno ammessi altri commenti. Difficile dire se realmente i Korn in questi ultimi due album si siano evoluti, colpa forse dello stile melodico del loro frontman, tanto personale ed inconfondibile quanto, purtroppo, limitato ed impossibilitato ad un cambio di rotta. Per il resto, la band sembra mettercela tutta per rinnovarsi: se nel precedente lavoro si tentava di rendere leggermente più solare il sound generale, qui si cerca invece di puntare ad un tiro più essenziale, più trattenuto, quasi come se la sezione ritmica (dotata ora di un nuovo e comunque caparbio batterista) cercasse di ritrovare l’energia in uno stile più sobrio, lasciando a casa i crash continui e le equalizzazioni apocalittiche sui vari elementi della batteria. Niente più nu-metal, niente più ritornelli “valanga”. Il risultato? La iniziale “Starting Over” non sembra spiacevole, schizofrenica nel ritornello e dotata di un finale avvicinabile al trip-hop. In “Bitch We Got A Problem” invece si riconosce uno stile meritevole, ma allo stesso tempo un ritornello alquanto freddo, quasi fosse la nuova versione di “Coming Undone”. Forse la band cerca uno stile più terra terra e senza troppe esasperazioni o lamenti, tipici dei Korn di “Issues”. Il refrain del singolo “Evolution” almeno funziona alla grande, stessa cosa si può dire anche per “Hold On” e “Innocent Bystander”. Con “Kiss” la band tenta la ballata, creando il tipico effetto eccessivamente trascinato che dopo otto lunghi album ormai non ha più nulla da dare: non basta un pianoforte per portare il sound lontano da quei vecchi stereotipi. “What They Say” e “Hushabye” rimangono di nuovo nel lento deprimente, e, nonostante qualche simpatica trovata, qui ci si comincia ad accorgere di quanto la band di Davis somigli sempre più al Marilyn Manson piagnone che, una volta giocatosi tutte le sue cartucce, punta a ballate disperate ma che poco riescono a toccare. “Love And Luxury” sembra, infine, un raggio di sole in mezzo a tanta depressione, con le sue sonorità alla Duran Duran. Anche questa volta le intenzioni di cercare strade nuove sembrano esserci, ma il lavoro generale sembra realmente privo di una via da seguire, e se il precedente “See You On The Other Side” poteva avere la giustificazione di essere un album di transizione, qui le nuove carte in tavola dovevano essere mostrate con notevole lucidità, qualità che purtroppo manca a questo album senza titolo. Ma sia chiaro: non si parla di tornare a massacrare i propri strumenti, questo sarebbe inutile e controproducente per tutti, quindi per favore, nu-metallari mettetevi il cuore in pace, di un altro “Life Is Peachy” non ce n’è assolutamente bisogno!
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