7.5
- Band: KRATER
- Durata: 00:43:20
- Disponibile dal: 31/05/2024
- Etichetta:
- Eisenwald Tonschmiede
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Ogni scena musicale – piccola o grande che sia – ha i suoi tesori nascosti. Nel caso specifico del circuito black metal tedesco, uno dei segreti meglio celati agli occhi delle masse è sicuramente quello dei Krater, band originaria della Sassonia in attività ormai da vent’anni, e fin qui protagonista di un cammino artistico tanto misurato e sfuggente quanto ricco di fascino e traiettorie difficilmente prevedibili.
Un gruppo partito, come tanti altri, dall’alveo del metallo nero più tirato e siderale degli anni Novanta, con le ovvie influenze di Marduk e Dark Funeral a concentrarsi soprattutto nei solchi dell’esordio “Das Relikt des Triumphes” (2006) e del successivo “Nocebo” (2011), ma che dall’egregio “Urere” del 2016 (esordio nel roster dell’attenta Eisenwald) non si è praticamente più guardato indietro in termini di ricerca sonora e destrutturazione di una formula posta in un curioso limbo di modernità e tradizione.
Registrato in gran segreto e annunciato senza troppi squilli di tromba, “Phrenesis” si pone quindi come un nuovo, avvincente viaggio nei reami più profondi della psiche e del mondo onirico; una corriera su cui l’ascoltatore di turno, intossicato dai fumi venefici e visioni disturbanti, attraversa un paesaggio dalla morfologia irregolare e in continua evoluzione, fra avvallamenti profondissimi, distese pianeggianti e picchi repentini. Un itinerario che, nel concreto, vede la formazione guidata dal cantante/chitarrista Abortio (anche nei death-black metaller Horns of Domination) abbracciare uno spettro sonoro parecchio ampio, e che senza ricorrere a stravaganze avantgarde o a dissertazioni ‘post’ riesce comunque a non porsi limiti da un punto di vista delle soluzioni espresse e delle influenze da cui attingere, fra aggressioni vecchia scuola, derive sciamaniche, sferzate melodiche e giochi a base di dissonanze e riff obliqui.
Un approccio singolare e stratificato, che ci sentiremmo di paragonare a quello di Ascension, Dark Fortress, Fides Inversa e Secrets of the Moon, tutte realtà note per il loro concetto trasversale e ricercato di black metal, e che racchiuso da una produzione organica molto vicina alla resa live (scelta divisoria ma che ribadisce la personalità del progetto) viene messo a terra da un songwriting ancora una volta intrigante, ispirato e pervaso di micro e macro dettagli da assaporare con calma, oltre che nelle condizioni mentali più appropriate per recepire un suono tanto denso.
Com’era già stato per gli ultimi full-length, la forza di “Phrenesis” risiede proprio nei puntuali cambi di prospettiva degli episodi che lo compongono, nella fluidità con cui il quintetto – sfruttando anche l’apporto delle tre chitarre – si muove tra affondi lineari e parentesi sibilline, tra svolazzi melodiosi (si senta l’incipit di “Hopesmoker – Celestial Apex”) e regressioni ottenebranti (il finale di “Withered Hands”), innescando uno stato di trance che porta quasi a non rendersi conto dei mutamenti di registro e di atmosfera.
Un album che, va da sé, non ricerca il facile consenso, che sarà destinato a pochi e che si colloca in una sfera ‘altra’ rispetto ai trend black metal contemporanei, ma che conferma la voglia di osare e spingersi in là dei suoi autori, officianti di un rituale destinato probabilmente a crescere ancora nel corso dei prossimi mesi, vista la quantità di carne messa al fuoco in questi solchi. Dopo “Venenare” e il suddetto “Urere”, un altro gioiellino.