7.5
- Band: KRVL
- Durata: 00:41:00
- Disponibile dal: 11/10/2024
- Etichetta:
- These Hands Melt
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Chissà se a These Hands Melt l’hanno fatto di proposito. Chissà se hanno stabilito che il momento ideale per pubblicare “Donkere Paden”, secondo album dei KrvL, sarebbe stato proprio quello in cui le giornate si accorciano, la luce ingrigisce e una malinconia familiare risale insieme alla nebbia dalle foglie bagnate. Intenzionale o meno, la scelta è azzeccata: il disco della misteriosa combo belga è infatti una colonna sonora ideale per questa stagione.
Come nelle sere di ottobre, infatti, in “Donkere Paden” tutto si declina su tinte fredde. Ma come nelle sere d’ottobre, si può avvertire la dolcezza di un ultimo sussulto di calore, sia esso un raggio di luce violetta all’orizzonte o il tepore di una giacca che ci copre le spalle proteggendoci dal primo freddo.
Sì, “Dokere Paden” è un po’ come una giacca di lana: ruvido, ma avvolgente.
A dirla tutta, questa ambivalenza è un tratto distintivo della musica dei KrvL (si legge “Kravaal”), che anche nel lavoro precedente giocavano al confine tra drammaticità, riff estremi e sentimento.
Stavolta, però, la strategia è un po’ diversa: se “Kravaal” poteva infatti definirsi a pieno titolo un buon album post-black, qui l’anonima formazione sembra aver scelto di approfondire stilemi legati al black più tradizionale, soprattutto dell’era Novanta-Duemila, producendo un disco più epico, aggressivo e stratificato del suo predecessore. Rimane cristallina però l’inclinazione contemporanea del songwriting, che rivolge lo sguardo a due principali punti di riferimento.
Il primo è l’underground belga e olandese, quello della magnifica scena guidata dalla Church of Ra, ma anche quello del black creativo dei Paesi Bassi (su due piedi, ci vengono in mente le band del circuito Swarte Yssel). L’inclinazione verso quei mood e quelle sonorità si riconoscono, per esempio, in “Zielenrust”, elegia blackgaze impreziosita dall’istrionico contributo dell’artista e musicista sperimentale Shazzula.
Afferisce a queste influenze anche la ricerca di suggestioni che imprimono una sfumatura folk pur non ricorrendo per forza ai codici del folk puro: se ne riscontrano alcuni espedienti già nella solenne opener “De Koning Van Stilte”, introdotta da un lungo prologo dal sapore arcano.
Il secondo focus, più lontano ma comunque apprezzabile, rimanda alla tradizione svedese più melodica ed emozionale: i Katatonia, innanzitutto, ma i KrvL indugiano anche in sottili rimandi al death di quelle zone. Ne è un ottimo esempio “Avondrood”, forse uno dei pezzi più coinvolgenti e riusciti dell’album, in cui le melodie ipnotiche della chitarra sostengono una linea vocale in cui riecheggia il suono di Göteborg. Qualcosa affiora anche nella prima parte della caleidoscopica “De Verloren Herder”, prima che il brano si apra su uno slargo meditativo dai toni struggenti e dalle reminiscenze atmosferiche.
La sintesi di queste suggestioni, modellata su composizioni ben ponderate e fluide all’ascolto, si esprime in un sound che rientra perfettamente nei canoni del metal (soprattutto ‘post-‘) ricercato e vagamente intellettuale di scuola europea. Un sound che traspira nostalgia dolceamara e che trasmette un senso di aggraziata tristezza.