8.0
- Band: KVELERTAK
- Durata: 00:58:12
- Disponibile dal: 21/02/2020
- Etichetta:
- Rise Records
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A dieci anni dal fuoco d’artificio del debutto discografico e a sette da “Meir” – seguito che li ha fatti conoscere universalmente soprattutto grazie ai complimenti di James Hetfield e del principe di Norvegia – la carriera dei Kvelertak sembrava aver subito una brutta piega, con l’abbandono di Roadrunner Records e soprattutto la separazione dal frontman Erlend Hjelvik, seguita da quella col batterista Kjetil Gjermundrød. Il gruppo ha dato presto fiducia al batterista Håvard Takle Ohr e soprattutto a Ivar Nikolaisen, vocalist dei turbo-punx The Good The Bad And The Zugly, arrivando a pubblicare ad inizio 2020 il quarto album in studio “Splid” su etichetta Rise Records.
Avevamo già sentito Ivar in “Blodtørst”, ma capiamo già dal primo ascolto che il suo passaggio a titolare non solo riesce a garantire continuità ai norvegesi, garantendo quella mistura poco classificabile di black’n’roll et similia, ma aggiunge al DNA una pesante vena di rock scandinavo, con la band che tende ad alzare i toni per meglio abbinarsi alla sua voce. Undici pezzi della durata media di cinque minuti che spaziano meno tra i generi ma riescono a ravvivare quella fiamma che sembrava sopita in “Nattesferd”, grazie a novità importanti come lo sporadico cantato in inglese: “Crack Of Doom” entra di prepotenza tra le migliori canzoni mai partorite dalla formazione, grazie al riuscito scambio con Troy dei Mastodon, mentre “Discord” ne bissa l’adrenalina e l’energia assieme a Nate Newton dei Converge. Come sempre il gruppo riesce a rendere agevoli passaggi che sulla carta non potrebbero mai funzionare, ma in “Splid” l’eccellenza si raggiunge, oltre ai brani citati, in brani come “Fanden ta dette hull!” e “Stevnemøte med Satan”, dove si inneggia ttanto ai Judas Priest quanto ad AC/DC e Slayer. “Delirium Tremens” andrà a sopire chi ha sete delle derive prog, per tutti gli altri c’è un album che suona tanto punk quanto black quanto arena rock, senza troppe contraddizioni apparenti, grazie anche alle sapienti mani del produttore storico Kurt Ballou.
Potete buttare i pregiudizi nel cesso, i Kvelertak dopo il cambio cantante son più vivi che mai e questo “Splid”, sebbene non possa realisticamente raggiungere l’incredibile debutto e “Meir”, può tranquillamente collocarsi appena al di sotto, ritrovando una forma eccellente. Come ha detto meglio il chitarrista Vidar Landa: “E’ un disco che puoi suonare a una festa ma che puoi anche ascoltare in cuffia mentre cammini nella foresta durante l’inverno norvegese. E’ Kvelertak“.