9.5
- Band: KYUSS
- Durata: 00:51:55
- Disponibile dal: 28/06/1994
- Etichetta:
- Elektra Records
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Se si andassero a rintracciare le radici vere di quello che è stato, e che è tutt’ora, il fenomeno dello stoner meta,l di certo troveremmo quella principale sotto il nome di Kyuss. In un tripudio alchemico perfetto e in un allineamento astrale di pianeti troviamo uniti personaggi del calibro di John Garcia, Josh Homme, Brant Bjork e Scott Reader (che incredibilmente non fa rimpiangere l’altrettanto storico Nick Oliveri), con la coppia Barresi/Goss in produzione, in un album che diventa la massificazione di quello che di prodigioso c’era stato nel precedente “Blues For The Red Sun”. “Welcome To Sky Valley” è infatti l’opera magna del quartetto di Palm Desert, divisa in tre movimenti principali (come era inizialmente la suddivisione delle tracce su cd) e declinata in dieci pezzi memorabili. Impossibile non destare un’attenzione particolare quando nel ’94 – anno d’oro di grunge e industrial – si sentiva un riff iniziale come quello di “Gardenia”, dove i Black Sabbath ritornavano cupi e strafatti come ai tempi migliori e si univano alla potenza dei Pantera; così come non era consuetudine ascoltare “Asteroid”, con un’accelerazione finale che riprendeva la psichedelia più desertica e fumosa degli anni Settanta (“Get back to rollin’ / Get back to motherfucker”), e la sua compagna “Supa Scoopa And The Mighty Scoop”, gioiello di riffing chitarristico, groove basso-batteria e performance vocale. Una triade di pezzi così non solo era lontana dagli schemi (avere un cantante come Garcia e fare uno strumentale come secondo pezzo era – e sarebbe ancora – decisamente ‘osare’) ma iniziò a dettare quelle che sarebbero state, seppur impoverite poi da molti cloni, coordinate di quello che a pieno titolo si continua a chiamare stoner. La seconda triade di brani contiene forse quello che è il pezzo più vicino alla concezione di singolo, “100 Degrees”, roboante e letale, i suadenti sette minuti di trip acustico da campfire nel deserto di “Space Cadet”, che fanno prendere una pausa contemplativa anche al cielo al di sopra di tutta la polvere e sabbia intorno, e il tribalismo ipnotico di “Demon Cleaner” (uscita effettivamente come singolo dell’album e anche coverizzata dai Tool), impostata sullo sciamanesimo psichedelico heavy. Il quartetto finale invece, sentito più difficilmente dal vivo, continua con un percorso di pari livello e non pone un momento debole nemmeno per un secondo. Difficile, dopotutto, con quell’alchimia, riuscire in questa impresa. Non si sarebbe sbagliato neanche se in quel momento di registrazione si fosse inciso il quartetto che si fumava un cannone dietro la sala d’incisione in cazzeggio più totale – cosa che avviene in effetti nelle ghost track alla fine degli album, con i vari ‘yeah’ di turno. “Odissey”/”Conan Troutman”/”N.O” (tributo agli Across The River, band di Lalli e Reeder) e l’epica gemma “Whitewater” rimangono il suggello perfetto ad un disco che definirlo simil-perfetto è solo un fatto di modestia. L’inventiva compositiva di Homme e di Bjork, autori portanti del discorso, si unisce a delle performance perfette di Garcia, una delle voci più importanti nella musica heavy, e Reeder, che copre tutto quanto con uno dei bassi più cazzuti della storia della musica rumorosa. A ciò si unisce il lavoro di Barresi e Goss, che proseguono l’inventiva di “Blues For The Red Sun” e che riescono a migliorarsi ancora di più. “Welcome To Sky Valley” suona potente oggi come allora, senza un minimo accenno a diminuire la sua portata storica e la sua qualità effettiva in fase compositiva e sonora, rimanendo una pietra miliare rock degli anni Novanta. L’istruzione nel booklet dice: ascoltare senza distrazioni. Non ce ne dovrebbero essere. Album come questi sono abbastanza per mente, spirito e tutto il resto.