7.0
- Band: L.A. GUNS
- Durata: 00:41:07
- Disponibile dal: 14/04/2023
- Etichetta:
- Frontiers
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Perfettamente rispettata la cadenza biennale delle ultime uscite discografiche degli L.A. Guns: è infatti da quel “The Missing Peace” del 2017 che, ogni due anni, la nostrana Frontiers Records e il sempre presente Phil Lewis ci dilettano con un nuovo prodotto marchiato col logo delle iconiche pistole californiane, con risultati invero mediamente positivi.
Partiamo dalla copertina: è ormai da quattro album che viene fatta costantemente un’accostamento al primo, iconico simbolo messo in bella vista su quel capolavoro che è ancora oggi l’esordio omonimo, e anche in questo caso il tempo speso per immaginare e/o progettare la figura principale è stato evidentemente abbastanza contenuto, tanto che, pur se in posizione leggermente obliqua, il logo è immediatamente riconoscibile e capace di marchiare “Black Diamonds” come un lavoro ad opera degli L.A. Guns, anche all’occhiata più disattenta.
Musicalmente siamo sempre sul classico hard rock graffiante e nel contempo orecchiabile che da sempre contraddistingue l’operato di Tracii Guns e soci, anche se rimane in evidenza il parziale ammodernamento che ha influenzato il sound, soprattutto per quanto riguarda un guitar work alquanto scuro e al passo coi tempi. Tant’è che le prime due tracce, caratterizzate da ritmiche cadenzate (in stile “Immigrant Song”, per intenderci), riescono ad apparire classiche e al tempo stesso attuali, peraltro con dei riff con un retrogusto quasi grunge, esattamente come la successiva semiballad “Diamonds”; quest’ultima è anche l’estratto più lungo di un pacchetto dove, di base, solo in altre due occasioni si sfora il tetto dei quattro minuti.
Anche la voce di Phil Lewis viene gestita con un approccio non esageratamente old-school, con tanto di sporadici effetti artificiali applicati, come nella opener “You Betray”, anche se non si tratta di trovate invasive, considerando che a livello timbrico il buon Phil è ancora dannatamente sul pezzo; inoltre, fa piacere notare che l’estro più rockeggiante e danzabile degli L.A. Guns sia vivo e vegeto, come testimoniato dal brano “Babylon”, tra i più piacevoli del lotto. Al contrario, la più ‘blueseggiante’ “Shame” ci ha strappato qualche sbadiglio, probabilmente per via di un incedere anche troppo ridondante.
Nuovamente momenti esaltanti invece con l’arrabbiatissima “Shattered Glass”, la cui furiosa commistione tra un ritornello fomentante e un lavoro di chitarra perfettamente dosato riesce nell’impresa di bissare quanto fatto prima, rendendola di fatto uno dei migliori pezzi in assoluto insieme alla sopracitata “Babylon” e alle più tardive “Got It Wrong” e “Lowlife”: la prima dal sapore quasi punk, mentre l’altra squisitamente hair metal anni ’80, in linea coi fasti delle prime opere degli L.A. Guns e degna del miglior headbanging con addosso stivali di coccodrillo e jeans attillati.
Anche quella “Gonna Lose” dalla duplice natura, a metà tra una ballad e un midtempo hard rock con tutti i crismi, e la più rilassante “Crying” funzionano tutto sommato bene, culminando poi nella conclusiva “Like A Drug”, che picchia nuovamente duro sull’acceleratore, mantenendo però una sorta di parvenza malinconica nelle sue soluzioni melodiche.
C’è poco da dire in fin dei conti su un lavoro attuale degli L.A. Guns, in quanto si tratta comunque dell’ennesima conferma, seppur non sfavillante, della capacità di questi rocker di portare ancora un po’ di sana esaltazione, più o meno festaiola, alle orecchie degli ascoltatori affezionati alle sonorità tipicamente hard rock dei bei tempi andati, sopravvissute comunque ancora oggi. In barba a certi nomi altisonanti, che riempiono gli stadi per poi tirare fuori spettacoli mediocri o con poca anima, fa davvero piacere sapere che c’è ancora chi ha voglia di suonare e di far divertire gli appassionati. O almeno, questo è quello che trasmettono i dischi recenti cantati da Phil Lewis e suonati da Tracii Guns e compagnia al seguito: poche trovate particolari e qualche ‘compromesso’, ma ottima sostanza!