8.0
- Band: LABYRINTH
- Durata: 01:01:07
- Disponibile dal: 21/04/2017
- Etichetta:
- Frontiers
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Chi ha seguito i Labyrinth, saprà certamente quanto, per tutta una serie di ragioni, sia stata instabile la formazione negli ultimi anni. Solo con il rientro di Roberto Tiranti e con l’innesto di tre nuovi membri in line-up, vale a dire Oleg Smirnoff (tastiere), John Macaluso (batteria) e Nik Mazzucconi (basso), la band ha finalmente potuto seriamente mettersi al lavoro per un nuovo studio album: in tal senso, il loro ultimo full-length risaliva addirittura al 2010, quando pubblicarono la seconda parte di “Return To Heaven Denied”, per cui l’attesa di questo nuovo lavoro, intitolato “Architecture Of A God”, suscitava certamente una certa curiosità. Ebbene, possiamo dire che, in effetti, i Labyrinth hanno dimostrato di essere tornati in forma davvero smagliante, con un ottimo contributo da parte di tutti i nuovi musicisti, che hanno saputo portare il loro background, mettendolo pienamente al servizio di quello che è lo stile della band. Oltre alle certezze, costituite dall’affiatato duo chitarristico Cantarelli-Thorsen e da un singer eccezionale come Roberto Tiranti, si è dunque rivelato superlativo l’apporto di Smirnoff, con la sua grande versatilità e capacità di conferire freschezza al sound del gruppo toscano; straordinario Macaluso, in grado di unire potenza esecutiva con una tecnica sopraffina; quasi sorprendente Mazzucconi, inseritosi con grande personalità e autore di una performance di altissimo livello. Unendo tutte queste diverse esperienze, diciamo che in questo disco i Labyrinth sono riusciti comunque ad essere coerenti con quello che, in fondo, hanno più o meno sempre fatto in ogni loro album, spaziando tra classici pezzi power veloci e ballate dalle incantevoli melodie oppure proponendo tracce dall’anima progressive accanto a canzoni più sperimentali, talvolta persino spiazzanti. Un approccio che ha rappresentato forse il segreto del loro successo, ma che, per il rovescio della medaglia, ha pure finito spesso per scontentare chi da loro si aspettava, per forza di cose, determinate sonorità. Ci sembra, tuttavia, che con “Architecture Of A God”, i Labyrinth siano riusciti nel difficile compito di dosare in maniera ottimale tutte le diverse sfaccettature che compongono il loro sound: troviamo così pezzi anche alquanto diversi ma che allo stesso tempo sono in realtà tutti riconducibili al loro tipico stile, nelle sue diverse espressioni. Giusto per fare qualche esempio, citiamo tracce più aggressive come “Take On My Legacy” e “Stardust And Ashes” oppure la più melodica “A New Dream”, mentre “Someone Says” rappresenta il loro tipico uptempo. Ritroviamo la classica power ballad con “Those Days”, mentre la title-track (ispirata al film “Mr. Nobody”) esprime indubbiamente il loro lato più prog, con risultati davvero apprezzabili. Particolare la scelta di riproporre “Children” di Robert Miles ma, a ben guardare, in realtà la band non ha mai disdegnato neppure questo tipo di sonorità (basti ricordare canzoni come “Vertigo” o “Feel”): il pezzo in questione, partendo dalla sua base pianistica originale, viene poi sviluppato soprattutto dalle chitarre di Andrea Cantarelli e Olaf Thorsen. Una vena atmosferica di questo tipo la si può riscontrare anche in “Random Logic”, un’intro alla title-track nella quale vengono proposti diversi aforismi e frasi di Leonardo da Vinci e nella conclusiva “Diamond”, dove si mettono in evidenza sintetizzatori e chitarre pinkfloydiane. Molto belli anche i brani di apertura: “Bullets” e “Still Alive” mettono subito in chiaro, infatti, quali siano le coordinate stilistiche dei Labyrinth di oggi e quanto sia importante, come dicevamo sopra, l’apporto di tutti i nuovi membri. Molto particolare, poi, “We Belong To Yesterday”, senz’altro il brano più atipico dell’album, ma davvero interessante per il suo essere originale e per gli squisiti arrangiamenti. Un grandissimo (e graditissimo) ritorno, dunque, per i Labyrinth, con un disco ricco di belle canzoni, spunti interessanti, suonato magnificamente e nel quale questi musicisti hanno saputo ancora una volta rinnovarsi, esprimendo allo stesso tempo, come sopra evidenziato, tutte quelle che sono le caratteristiche del loro tipico stile, evitando di riciclarsi o di risultare ripetitivi. E questo, in realtà, a pensarci bene, non è mica un risultato da poco.