8.0
- Band: LABYRINTHUS STELLARUM
- Durata: 00:37:00
- Disponibile dal: 2/05/2025
- Etichetta:
- Archivist Records
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Si dice ‘enfant prodige’ un bambino che prima dei tredici anni possieda già padronanza di una tecnica o conoscenza di un argomento paragonabili a quelli di un adulto molto esperto. Come e perché alcune persone manifestino fin da giovanissime tali qualità rimane un mezzo mistero delle neuroscienze, ma pare c’entrino qualcosa anche i contesti socio-culturali e familiari di provenienza. Di quelli in cui sono cresciuti i fratelli Alexander ‘Alex’ e Mykhailo ‘Misha’ Andronati sappiamo in realtà poco, e men che meno se il loro talento musicale sia stato abbastanza precoce da farli rientrare nella definizione di ‘bambini prodigio’: tuttavia, ascoltando il loro terzo album sotto il moniker Labyrinthus Stellarum, è evidente che i due giovanissimi artisti ucraini si distinguono non solo per competenza, ma anche per la personalità già molto definita della loro proposta.
Rispettivamente ventiquattro e diciassette anni, attivi dal 2021 e senza nessuna esperienza pregressa, Alex e Misha rappresentano un ottimo esempio di ciò che la gen-Z ha da offrire di originale in ambito black metal. Qualche nostalgico potrebbe storcere il naso davanti al loro gusto post-2010, ma è davvero difficile non riconoscere la freschezza e la notevole maturità del loro lavoro.
Prima di parlare di “Rift In Reality”, due cose per chi non conosce la band: stando alle dichiarazioni dei fratelli Andronati, il duo (sono un quartetto solo in sede live) è nato con l’idea di fare musica à la Lustre. L’impronta dell’elegante progetto di Henrik Sunding in effetti un po’ si sente, ma è più che altro una traccia cui viene dato uno sviluppo abbastanza inedito: i Labyrinthus Stellarum propongono infatti un cosmic black dal sound freddo, ma tutt’altro che rarefatto, con una fortissima contaminazione elettronica/industrial e un certo intuito per il ritornello melodico e il riff di facile presa.
Una formula che si presenta ormai ben consolidata alla sua terza prova sulla lunga distanza: “Rift In Reality” è infatti un album convincente sotto ogni punto di vista, dalla tecnica al songwriting, dall’architettura generale dell’opera alla produzione, fino al concept narrativo che parla di avventure tra galassie sconosciute e minacciose razze aliene. Lo si avverte già dall’opener “Voyager”, ma è forse nel singolo di lancio “Ravenous Planet” che si coglie davvero come i Labyrinthus Stellarum abbiano rivoltato la lezione del black atmosferico coi synth protagonisti in una chiave quasi ballabile, che culmina in un refrain da sing-along immediato. Anche la struttura del brano è tutt’altro che banale, costruita intorno ad una moltitudine di idee che confluiscono organicamente l’una nell’altra senza grossi intoppi.
Lo stesso mix vincente di complessità e orecchiabilità raggiunge un nuovo picco nella brillante title-track: una cavalcata che è un manifesto della nuovissima scuola metal degli under 30, ma che guarda anche a una certa tradizione black e che si impreziosisce di dettagli non banali – come la ricercata sfumatura orientaleggiante.
“Rift In Reality” è coinvolgente non solo perché è catchy, ma anche e forse soprattutto perché suona meravigliosamente spontaneo, coraggioso e mai manieristico. È un album potente nelle sue emozioni, che oscillano dalla solitudine angosciosa delle quasi-ballad “Take Us Home” e “Lost In The Void” alla riscossa epica di “Cosmic Plague”, accompagnando l’ascoltatore attraverso trentasette minuti di musica senza cali e senza momenti morti.
Se questo è l’inizio, i Labyrinthus Stellarum potrebbero avere il potenziale per diventare un progetto da tenere d’occhio nel prossimo futuro. In attesa del prossimo messaggio dalla loro astronave, godiamoci questo viaggio galattico che sa di space opera contemporanea.