8.0
- Band: LACITTÀDOLENTE
- Durata: 00:33:24
- Disponibile dal: 30/05/2025
- Etichetta:
- Toten Schwan Records
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“In A World Full Of Nails I Have Got Nothing But My Hands” vomita rabbia e disgusto per i ritmi nefasti della contemporaneità, le sue regole illogiche, il suo annaspare misero tra cose da fare, impegni, fastidi, scocciature e quant’altro inquina la quotidianità. Sono anche stavolta perfettamente sincronizzati al male di vivere metropolitano contemporaneo, i Lacittàdolente, ed il dolore è perfino acuito rispetto a quanto fattoci udire nell’esordio “SalesPeople” di circa quattro anni e mezzo fa.
La formazione milanese persiste in un filone divenuto negli anni un po’ marginale, quello del mathcore più ferale, cupo, distorto; nel loro caso sì convulso e poco lineare, eppure in fondo piuttosto composto e coeso. Figlio dell’hardcore nudo e puro e quindi appesantito, metallizzato, abbassato nelle tonalità per risuonare ferale, deragliante, un marasma che descrive benissimo le ansie e l’alienazione delle realtà cittadine occidentali, almeno quelle di grossa taglia.
Un sentiero di lancinante sofferenza tracciato con urticante livore nell’esordio e ora modificato percettibilmente, per diventare ancora più soffocante, tremendo e incisivo: i cambiamenti sono nel suono e nella struttura della line-up, con questo secondo aspetto ad essere ovviamente una delle cause scatenanti del primo. La formazione è infatti adesso soltanto un duo: Federico Golob a voce, chitarra, basso e Guido Natale alla batteria. Potremmo affermare, ironicamente – loro che sono criticamente, fortemente, anticapitalisti – come si sia quasi verificato un processo di riduzione del personale ed efficientamento come quelle delle più ciniche multinazionali; ovviamente, si scherza. Mentre di risate, neanche quelle amare, non vi è segnale alcuno nel corso del disco.
Ciò che si coglie fin dalle prime battute è appunto la riduzione delle velocità e degli elementi più affini a un universo metalcore ‘alla Converge’, ben presenti in “SalesPeople”, per concentrarsi su un qualcosa di nettamente più lento, denso, sempre laborioso e intricato ritmicamente, ma direzionato a una cupezza incombente, tra Botch, Car Bomb e frattaglie noise rock.
Il tipo di produzione e alcune atmosfere si collegano a quanto espresso nell’album d’esordio, mentre il modus operandi e l’indirizzo stilistico complessivo preferiscono installarsi su coordinate differenti, esaltando un intricato, burbero nervosismo. II fantasioso attorcigliarsi di chitarra e basso prende sempre una piega nevrastenica, preferendo all’imprevedibilità un incedere martellante, quasi industriale, sintonizzandosi quindi ai temi delle liriche. Il senso di spersonalizzazione dell’individuo, il sentirsi ridotto a semplice fattore produttivo di una macchina che tutto fagocita e distrugge in nome del profitto, quasi lo si tocca con mano.
“In A World Full Of Nails…” vive di uno stillicidio di dissonanze, strappi, rallentamenti bruschi e ripartenze ancora più corpose, suonando relativamente dritto e sintetico per gli standard di settore: le tracce si snodano tra pulsioni animalesche e un senso di asetticità da catena di montaggio, ricordando a volte anche il suono meccanico dei Meshuggah. Nel mezzo, dei freddi stralci di dialoghi – dei quali ci è difficile carpirne l’origine – portano altra alienazione e stordimento: lo stesso sentimento di claustrofobica, deprimente piattezza di una normale giornata di ufficio in una normale azienda, all’insegna dell’inutilità. Nel caso dei Lacittàdolente, tematiche alla base dei testi e sonorità viaggiano davvero all’unisono, risuonando terribilmente bene nell’animo di chi ascolta.
In questo fosco labirinto, si elevano nella tracklist le due canzoni più lunghe e dalle atmosfere più torbide e stratificate: stiamo parlando di “(It’s) Clearance Season” e “Neon Death (Forever On The Payroll)”, ancora più spietate e terrificanti delle altre, connettendo la brutalità di certo d-beat alla ripugnanza del doom più estremista. “In A World Full Of Nails I Have Got Nothing But My Hands” invece sa prenderci a schiaffi e farci pensare, qualcosa che è facile coniugare nello stesso disco e non possiamo che darne merito al duo milanese, ancora più duro, lucido e concreto nel dare forma alle proprie visioni.