7.5
- Band: LAMB OF GOD
- Durata: 00:44:32
- Disponibile dal: 19/06/2020
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Warner Bros
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Dopo quella dichiarazione importantissima di “VII”, disco scatenato e dimostrazione di forza che ha mostrato una band invincibile di fronte alle avversità, non potevamo immaginare di dover attendere cinque lunghi anni per un proseguo. Certo i Lamb Of God sono nella posizione, da veterani e da band che non ha più nulla da dimostrare, di potersi prendere i propri tempi e potersi gestire senza obblighi stretti. Ci sono stati anche “Legion: XX” targato Burn The Priest e l’EP “The Duke”, a dire il vero, ma la sete per la band di Ritchmond ‘motherfucking’ Virginia si faceva sentire in maniera sempre più insistente. L’annuncio del decimo album, autointitolato, arriva dopo il più importante punto di rottura nella storia del gruppo, ovvero l’unico cambio di formazione mai avvenuto nella band. Il batterista e membro fondatore Chris Adler è stato un colosso, uno dei più importanti batteristi moderni con un legame di sangue all’interno del quintetto e uno stile capace di definire il suono dei Lamb Of God. L’obiettivo è oggi, per la band di Blythe, Morton, Adler e Campbell, di rimarcare la legittimità della propria leadership a vent’anni da “New American Gospel”. Giusto quindi presentare un ‘self-titled’ che riparte dai capisaldi di groove ed aggressività, un disco semplice e diretto in confronto ai precedenti, conciso ma pienamente efficace in ogni singola canzone che lo compone. Un disco autoreferenziale, di consistenza, che non ha alcun riferimento esterno. Crudo, sincero, organico. Blythe archivia le sperimentazioni melodiche del recente EP e torna a consumarsi fisicamente e mentalmente nel suo attivismo politico e sociale, sforzandosi di rendere significativa ogni singola traccia. “Checkmate” e “Reality Bath” ci portano dritte in studio a testimoniare la già citata sincerità e la naturalezza che viene da decenni di affiatamento. “Gears” è trascinante quanto i migliori singoli della discografia della band, dall’altro lato “On The Hook” è uno dei pezzi più viziosi e selvaggi della raccolta. Si prosegue con le ospitate di rilievo: ad aggiungere varietà a livello vocale arriva Jasta nella thrashy “Poison Dream”, mentre il leggendario Chuck Billy aggiunge una nota melodica a “Routes” – chi meglio di lui in una canzone ispirata dalle proteste nella riserva indiana di Standing Rock, che ha visto in prima linea lo stesso Randy? Intoccabile il lavoro chitarristico della coppia Morton/Adler, talmente smaliziata e a proprio agio che riesce ad esprimersi ad altissimi livelli in ogni cifra stilistica adottata dalla band. Le linee di basso di Campbell restano fluide e solide. E il nuovo arrivato? Diciamolo chiaramente: Art Cruz, raccomandato dallo stesso Chris Adler per portare a termine l’importantissimo giro come supporter diretti nel tour di addio degli Slayer, ha centrato l’obiettivo. Il suo stile calza a pennello, muovendosi non troppo lontano dai pattern di Adler ma senza ricalcarne i passi, raccogliendo con sicurezza una pesantissima eredità e portando a casa il risultato. Dopo avere ascoltato la sua prova, considerando l’importanza cruciale di questa transizione, possiamo dire che i Lamb Of God potranno proseguire ad altissimi livelli la propria incredibile carriera.