8.0
- Band: LAMB OF GOD
- Durata: 00:41:08
- Disponibile dal: 07/10/2022
- Etichetta:
- Nuclear Blast
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Passarono cinque lunghissimi anni tra “VII” ed il self-titled del 2020, atti ad assorbire i dissidi interni e l’allontanamento di Chris Adler, uno dei pilastri del suono della band nonchè fratello del chitarrista Willie. Le cose non si sono dimostrate rose e fiori durante la pandemia, con tour a sprazzi e Phil Demmel (Machine Head, Vio-lence) chiamato a sostituire sia Willie Adler che John Campbell in separate occasioni. I Lamb Of God però vogliono dimostrare di aver superato il momento difficile, e come loro personalissimo stile lo fanno a muso duro, coi fatti. Eccoli dunque tornare sulle scene con “Omens” a soli due anni dal disco precedente, decisi a riaffermarsi con violenza e pragmatismo.
L’opener “Nevermore” integra sapientemente l’unico utilizzo delle clean da parte di Randy Blythe e rilascia la massima potenza con un ritornello ferocissimo e un breakdown maiuscolo. “Vanishing” è un capolavoro di groove dove i riff incredibili della coppia Morton/Adler viaggiano di nuovo sulla cowbell e su un mostruoso lavoro di batteria. “To The Grave” lavora ai fianchi fino al colpo da KO “Ditch”, introdotto dall’entrata più devastante del disco – “I don’t give a goddamn!” tuona Blythe – che segna i tre minuti più veloci e devastanti della raccolta. Quando parte la title-track “Omens” alziamo semplicemente le mani davanti alla straordinaria forma fisica di una formazione che si è sempre espressa a livelli altissimi e dimostra di aver mantenuto una fame e una rabbia che manca anche a formazioni nei vent’anni di età. Potremmo andare avanti a descrivere le singole canzoni del disco, ma siamo davanti a una raccolta senza cali di tensione e senza punti deboli, basta quindi citare le voci fuori dal coro della scatenata “III Designs” – in grado di riportarci ai Bad Brains e al verace amore per l’hardcore del quintetto – insieme a “September Song”, che chiude sperimentando tra sludge ‘made in New Orleans’ e un assurdo finale sinfonico a pugni in aria.
Viaggiando verso i venticinque anni di carriera i LOG sanno benissimo quali sono i propri punti di forza e lavorano duramente per mantenere altissima la qualità delle composizioni nonostante il sound familiare, senza rinunciare ad inserire qualche novità e qualche sperimentazione sfidante, ma soprattutto senza deludere chi ha voglia di un disco musicalmente e liricamente ispirato e privo di compromessi.
Una meravigliosa aggiunta al catalogo del gruppo di ‘Richmond, motherfuckin’ Virginia‘, che ricorda in maniera rumorosa come la band sia criminalmente ed ingiustamente sottovalutata dalle nostre parti.