7.5
- Band: LAMP OF MURMUUR
- Durata: 00:40:01
- Disponibile dal: 26/03/2023
- Etichetta:
- Argento Records
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C’era una volta il black metal americano, spesso registrato in casa da singoli musicisti isolati dal resto del mondo, di cui poco si sapeva se non attraverso sporadiche informazioni sulle fanzine. C’era, ancor prima, il black metal norvegese, che pur con interpretazioni molto personali, ha ovviamente influito sulla masnada di misantropi di cui sopra.
Ovviamente queste due favole nere esistono tuttora, e se volete immaginare la musica di Lamp Of Murmuur prima di ascoltarla è tutto molto semplice: prendete gli Immortal, in particolare quelli di “At The Heart Of Winter”, aggiungete una voce meno iconica, spostate tutto in California et voilà, il gioco è fatto.
Con questo non vogliamo togliere nulla alla buona riuscita di questo disco: il misterioso M. ha sicuramente fatto bene i compiti. Accordature ribassate, riff in diminuita, passaggi arpeggiati, batteria incalzante ma mai banale; c’è tutto l’armamentario per un disco black metal godibile e nostalgico, dove i midtempo e un certo gusto epico la fanno da padrone, l’ombra dei miti è evidente, ma la passione ha portato a scrivere brani che funzionano. E possono anzi funzionare particolarmente per chi si è avvicinato in tempi recenti al genere, con meno conoscenza tassonomica del suo passato… Per quanto non riconoscere lo zampino (caprino) di Abbath e Demonaz tra questi solenni solchi sia difficile.
Al tempo stesso, sono proprio alcuni passaggi particolarmente ridonanti in termini di magniloquenza, tappeti di tastiere comprese, a mostrare il lato più originale di questo act: “Hymns of Death, Rays of Might” è il primo esempio che incontriamo lungo i solchi, a anche la conclusiva title-track sa introdurre prospettive quasi sinfoniche stuzzicanti. E possiamo rilevare anche una certa prospettiva ancora più antica, ma mai polverosa, che si rifà direttamente agli anni Ottanta dell’estremo, per suoni e ritmiche (“In Communion With The Wintermoon”). Sono brani lunghi, a tratti claustrofobici, molto spesso colmi di un pathos adrenalinico, che proprio come nel caso degli Immortal sanno trasportarci in un’atmosfera sospesa: quella fiaba nera cui siamo ricorsi qualche riga fa, che sposta il suo immaginario dalle foreste norvegesi – o dall’immaginario mondo di Blashyrkh – in un non luogo che è improbabile collocare sulle assolate spiagge di Los Angeles, ma non per questo perde slancio o credibilità.
Tirando le somme, per qualcuno troppo oltranzista Lamp Of Murmuur potrebbe meritare una bocciatura per esser stato beccato a copiare, per altri potrebbe essere la new sensation dell’anno, o anche più; senza dubbio è un album accattivante, che merita più di un ascolto e un occhio di attenzione verso una band che, al fatidico traguardo del terzo disco, si conferma solida.