7.0
- Band: LED ZEPPELIN
- Durata: 00:44:38
- Disponibile dal: 31/03/1976
- Etichetta:
- Swan Song Records
- Distributore: Warner Bros
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Le registrazioni del nuovo album dei Led Zeppelin prendono il via a Monaco, città scelta per venire incontro all’esilio fiscale imposto dalla strettissima politica economica inglese. Questa volta, però, Jimmy Page non può lavorare con la consueta tranquillità: gli studi, infatti, sono stati prenotati anche dai Rolling Stones e ai Led Zeppelin restano solo due settimane prima di dover sbaraccare per fare spazio a Mick Jagger e compagni.
I quattro, dunque, si rimboccano le maniche e si buttano di buona lena sui nuovi brani che andranno a completare “Presence”. La scrittura procede di buona lena, ma questa volta il tocco magico dei quattro appare un po’ appannato. Non che l’album sia brutto, ma ancora una volta l’andamento è discontinuo, con delle vette di eccellenza che si alternano a passaggi di maniera, piuttosto scontati.
L’inizio è eccezionale grazie ad “Achille’s Last Stand”, epica composizione della durata di dieci minuti che sembra rappresentare l’ideale punto d’incontro tra la maestosità orientale di “Kashmir” e la battagliera fierezza di “Immigrant Song”, entrando di diritto nel novero delle migliori composizioni mai scritte dai Led Zeppelin. Sempre nell’elenco dei pezzi più riusciti di “Presence” inseriamo senza ombra di dubbio anche “Nobody’s Fault But Mine”, in cui la band ritorna a fare fuoco e fiamme partendo da un vecchio blues di Blind Willie Johnson, con Page e Plant a duettare in un vortice di hard rock, e il cantante che coglie l’occasione per sputare tutta la sofferenza, il dolore e il rimpianto di una vita vissuta sempre sul filo del rasoio. Infine, non possiamo fare a meno di citare “Tea For One”, altra lunga composizione dalle tinte blues, questa vola dolente e malinconico, ideale proseguimento di quella “Since I’ve Been Loving You” contenuta in “Led Zeppelin III”. Il resto ondeggia tra atmosfere calde sulle rive del Mississippi (“Royal Orleans”), reminiscenze rock ‘n’ roll (“Candy Rock Store”) e un paio di brani abbastanza trascurabili (“For Your Life” e “Hots On For Nowhere”).
Forse a causa del poco tempo a disposizione, questa volta la band tira un po’ il freno sul profluvio di strumenti e sonorità che avevano caratterizzato “Physical Graffiti”: “Presence” recupera l’immediatezza del rock più viscerale, lasciando perdere mellotron, tastiere e ammennicoli vari, così come anche le chitarre acustiche e i tratti folk. Tuttavia se questo, abitualmente, viene associato ad un ritorno alla freschezza degli esordi, nel caso dei Led Zeppelin rappresenta un piccolo passo indietro. Il pubblico se ne accorge e la parabola del gruppo, che aveva conosciuto solo la salita, si ritrova per la prima volta a discendere verso il basso. Purtroppo, senza più fermarsi.