7.5
- Band: LENTO
- Durata: 00:40:51
- Disponibile dal: 26/10/2012
- Etichetta:
- Denovali Records
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Italia e post metal, per l’ennesima volta nel giro di pochi mesi, finiscono ancora per andare a braccetto. Sembra quasi inutile sottolineare come, anche in questo caso, i risultati ottenuti siano più che soddisfacenti, a maggior ragione se a scendere in campo sono i padroni indiscussi della scena (se così possiamo definirla), ovvero i capitolini Lento. Piace fin da subito l’approcio ad “Anxiety Despair Languish” e piace, soprattutto, il modo in cui il disco viene pensato ed interpretato da questi abili plasmatori di sonorità monumentali. ‘Ricerca’ è la parola d’ordine: una ricerca sempre filtrata nello scheletro sonoro della formazione romana, onesta e totalmente coinvolta in quello che, all’alba del quarto studio album, può essere definito come un percorso artistico intimista, ma anche molto saggio e intelligente. Ed ecco che il distacco dal precedente “Icon” prende forma, portando alla realizzazione del lavoro più compatto mai composto dalla band, dove l’apparente semplicità dei brani mette in mostra uno spettacolo tanto lineare quanto variegato sotto il profilo del songwriting. Una produzione ben inquadrata è solo la ciliegina sulla torta di un lavoro che non lascia certo spazio al caso: le tredici tracce proposte godono di un anima pulsante diversa l’una dalle altre; tuttavia, se le si prende tutte insieme, divorando l’ascolto in un sol boccone, si finisce presto per tessere le lodi di una continuità qualitativa non proprio comune in questo genere di ascolti. Risulta semplice farsi catturare dall’odissea creativa messa in mostra dai Lento, bravi a intrigarci con i pachidermici muri sonori delle tre chitarre e con alcune novità meravigliosamente introdotte: dalle marcate contaminazioni post-rock di alcuni pezzi (“The Roof” e “My Utmost For His Highest” su tutte) alle soluzioni ben più “infiammate” presenti qua e là tra i singoli brani – sentitevi la malignità di un pezzo come “Questions And Answers” o gli epici giri di chitarra della titletrack. Nel complesso, la robustezza strutturale degli esordi viene conservata, ma, rispetto ai suoi predecessori, “Anxiety Despair Languish”, oltre ad essere meglio assemblato, viene spremuto e sfruttato al massimo in quelle che sono tutte le sue possibilità, facendo sì che a gudagnarci siano l’efficacia dei singoli brani – facilmente memorizzabili – e una fluidità d’ascolto mai sentita prima. Sarà interessante scoprire come la band proseguirà in questo nuovo capitolo della sua carriera, distaccato dagli esordi e finalmente privo del fantasma ingombrante di colleghi illustri quali Isis o Pelican. Lasciamoli fare.