8.5
- Band: LEPROUS
- Durata: 00:58:48
- Disponibile dal: 25/08/2017
- Etichetta:
- Inside Out
- Distributore: Sony
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E venne il giorno pure per i Leprous di mutare l’asse attorno a cui gravita la propria musica. Destando un certo scalpore e qualche dubbio nei fan di lunga data, la presentazione di “Malina” come lavoro di rottura con il passato poteva dare adito a una fitta ridda di interpretazioni. Destinate per forza di cose a essere fallaci, in quanto da artisti unici come i progster norvegesi è lecito attendersi un’evoluzione che non sia facilmente accostabile a quella di altre entità. Come vi abbiamo spiegato nel track-by-track di qualche settimana fa, il distacco con le passate pubblicazioni è evidente, e si è manifestato in una sensibile riduzione dei dettagli da afferrare, della complessità, in una netta modifica dell’approccio alla composizione verso la linearità e una gestione degli arrangiamenti che manifesta meno foga e urgenza. Nelle scelte di suono sono state in parte accantonate la compressione massiccia e la distorsione molto carica presenti fino a “The Congregation”, il sound di “Malina” è più esile ed essenziale, focalizzato a esaltare la dimensione raccolta e intima di una larga porzione del disco. Parlare di mera semplificazione sarebbe però fuorviante, perché se in apparenza i Leprous si sono calati in una versione non così eccentrica e variopinta come al solito, d’altro canto hanno introdotto una serie di eccellenti novità. L’interpretazione vocale notoriamente contraddistinta dall’insistenza su note alte e cantilenanti, volentieri accompagnata da seconde voci di pari natura, che andavano ad accumularsi e inscenare atmosfere irreali nella loro cerebrale tristezza, ora prevede una vasta esplorazione di registri bassi; di frequente la voce di Solberg si mostra nuda e poco roboante, magnifica nel rappresentare una fragilità che prima si percepiva ma veniva occultata da scariche di energia tramortente. L’indulgenza nella calma e in riff che miscelano prog e alternative viene speziata di sapori rari da tastiere che a loro volta non aggrediscono con straordinaria veemenza, dialogano mansuete su combinazioni di elettronica minimale e sinfonie prolungate inedite nella musica del quintetto. L’ingannevole quiete di “Bonneville”, la disarmante semplicità siderale di “From The Flame”, il chorus fantasmagorico di “Illuminate” potrebbero passare sottotraccia ai primi ascolti, salvo conquistare il cuore poco dopo. Le trame intricate e il taglio heavy non vanno nel dimenticatoio, ci ricordano l’animo inconfondibilmente metallaro del combo pezzi lievemente più canonici quali “Captive”, “Mirage” e “Coma”, che riprendono i climax impazziti, stratificati all’inverosimile, presenti in abbondanza fino a due anni fa. In una tracklist che soddisfa dal primo all’ultimo secondo, vi sono almeno due diamanti così splendenti da offuscare gli altrui bagliori. Entrambi lontani dal metal, le chitarre non pervenute. La prima è la title track, che suona come un soffuso carillon risuonante in una casa abbandonata, sulla cui melodia in procinto di rompersi a ogni istante Solberg si rende protagonista di una performance drammatica, cupa ma piena di dolce sentimento. La poesia degli intrecci fra sintetizzatori e archi raggiunge momenti estasianti, bissati dai toni ancora più dark e indefiniti della chiusura di “The Last Milestone”. Le linee vocali si espandono in pieno accordo a una sinfonia vibrante, che pare dover passare in breve a qualcos’altro, invece resta lì, sospesa, in un ambiente vuoto dove solo la solitudine infinita regna sovrana. Il cantante-tastierista è ancora più che altrove il protagonista indiscusso, interprete maturo di uno stile che in una canzone del genere trascende completamente i generi. Assieme a “In The Passing Light Of Day” dei Pain Of Salvation, “Malina” si candida a diventare un caposaldo del prog contemporaneo, destinato ad assumere il ruolo di punto di riferimento per legioni di musicisti negli anni a venire.