LEPROUS – Pitfalls

Pubblicato il 22/10/2019 da
voto
9.0
  • Band: LEPROUS
  • Durata: 00:55:11
  • Disponibile dal: 25/10/2019
  • Etichetta:
  • Inside Out
  • Distributore: Sony

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Parafrasando il titolo, i Leprous avrebbero potuto benissimo cadere vittima di una ‘trappola’, quella di doversi riconfermare e dar seguito alla rivoluzione compiuta con “Malina”. Come già vi abbiamo illustrato nel track-by-track di qualche settimana fa, non solo i norvegesi non sono tornati indietro, nemmeno si sono assestati, piuttosto hanno fatto meglio germogliare il seme della novità piantato due anni orsono. Arrivando – non possiamo che ribadirlo con convinzione e senza timore di volare alti – a concretizzare un capolavoro di rara sensibilità, uno di quegli album che si possono ascoltare, riascoltare, analizzare, vivisezionare, indagare al microscopio, e non si può far altro che restarne completamente ammaliati. Se in “Malina” qualche aggancio coi Leprous di “The Congregation” e predecessori lo si scorgeva, qua i legami col passato diventano labili, a favore di un’identità ovattata, dark, che ammette pop, sinfonie contemporanee, elettronica e synth music non più come divagazioni o corollari, quanto come architravi, assieme al progressive, dello stile attuale del gruppo. Inutile cercare riferimenti, analogie, richiami palesi all’operato altrui, in quanto compiuto da Solberg e compagni, c’è solo da abbandonarsi alla musica e farsene conquistare.
Non stupisce che un lavoro di tale portata, così intenso in ogni flebile sottigliezza, sia figlio di un periodo si sofferenza e prostrazione. Einar è stato preda di stati d’ansia e depressione in tempi recenti, una cupezza distillata con straordinario tatto e lucida passionalità, calmierata ma immediatamente comunicativa, nel dedalo di una tracklist eterogenea, che non contempla il ricorso a schemi fissi o trucchi di mestiere. Gli elementi di maggior pregio vanno ricercati innanzitutto nelle interazioni fra synth e archi, con questi ultimi suonati da due professionisti del settore (il violoncellista Raphael Weinroth-Browne e il violinista Chris Baum), autori di singole prestazioni mirabolanti, perfettamente integrate alle invenzioni tastieristiche di un Solberg perfino superiore come gamma di soluzioni e gusto estetico rispetto a quanto udito in “Malina”. Alla voce, il mastermind congegna linee sottili e quando volge a note alte, lo fa riducendole a lamenti pericolanti, in punto di infrangersi; spesso, tuttavia, va a toccare corde emotive intime e nascoste, adagiandosi volentieri su toni bassi e mormoranti, salvo irrompere quando necessario in un lirismo veemente ma ben lontano dal fare altisonante del passato. Se la propulsione di chitarra e batteria si è ridotta drasticamente, non si può dire che la loro forza trainante sia stata sminuita: è un operato più oscuro quello compiuto, importante ma non così centrale, anche se soprattutto a livello di pattern ritmici ci sono momenti irresistibili nella loro semplicità e nell’offrire scampoli di facile presa. Le strutture libere e aperte tendono a forme sinfoniche, con vampate di archi, il candore del pianoforte, il pulsare ombroso dei synth a segnare le svolte dei singoli brani.
Volendo ‘categorizzare’, porre un solco separatorio fra le tracce, possiamo essenzialmente distinguerle tra quelle fruibili da singolo-traino (non sono per forza quelle anticipate dal gruppo) e le composizioni più sperimentali. Tra le prime, il groove felpato e decadente di “I Lose Hope” e la sua elettronica minimale sono destinati a mandare in estasi anche i più distanti dal Leprous-pensiero, mentre “By My Throne” e “Foreigner”, ammiccando al pop e infarcite di synth tentatori, appagano le voglie di coinvolgimento poco mediato, per quanto nascondano anch’esse una complessità di scrittura notevole. “Alleviate”, già abbondantemente masticata dai fan, sfrutta benissimo i contrasti fra ombrosità e melodie accecanti, “Below”, incipit quanto mai spiazzante, equilibra con arditezza chamber music, elettronica e un progredire dal sonnambulo all’incendiario. Allargando la durata dei singoli brani, ecco comparire registri espressivi ancor più estrosi, che ripescano sprazzi adrenalinici di qualche anno fa, in antitesi a lunghi dormiveglia, intrecci colti degli archi, sintetizzatori immaginifici: difficile scegliere cosa sia venuto meglio fra “At The Bottom”, “Distant Bells” e l’opulento, corale crescendo di “The Sky Is Red”. In chiusura, due parole per “Observe The Train”: dolcissima, introdotta da poche note di piano che paiono richiamare un fiabesco quadro notturno, si fa portatrice di una malinconia calda e setosa, che tutto avvolge e stempera. Si adorna di sfumature angeliche, Solberg si esprime in una performance vocale mansueta e posseduta da un mesto incanto, distante come non mai dallo spumeggiare sopra le righe per cui è divenuto famoso. La portata di un album la si coglie col tempo, vero, ma per “Pitfalls” ci concediamo il lusso di metterlo sul piedistallo dei dischi rock capaci di segnare un’epoca, augurandoci che il suo valore possa portare la band all’attenzione di platee ben più vaste di quelle metal.

TRACKLIST

  1. Below
  2. I Lose Hope
  3. Observe The Train
  4. By My Throne
  5. Alleviate
  6. At The Bottom
  7. Distant Bells
  8. Foreigner
  9. The Sky Is Red
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