
7.0
- Band: LERA
- Durata: 00:45:00
- Disponibile dal: 06/06/2025
- Etichetta:
- Subsound Records
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Il suolo pietroso della Sardegna sembra essere piuttosto fertile per la musica underground, soprattutto per quella più malinconica.
Forse c’entra il fatto che i luoghi associati al turismo e alla leggerezza spesso nascondono un lato amaro e vagamente decadente; forse è perché l’isola ha una storia selvaggia e a tratti violenta; forse perché in mezzo ai paesaggi da cartolina, tra la vegetazione eroica aggrappata a un terreno ostile, sotto il vento salso e il sole che asciuga i panni stesi come ossa di morti, pulsa qualcosa di primitivo e inquieto. Accabadoras, mamuthones e issohadores, vibrazioni arcaiche del cantu a tenore: elementi che sanno di un paganesimo pastorale, di radici profonde, magia e irrequietezza.
Su questo humus nel tempo è fiorito di tutto, da una scena black metal piuttosto interessante a qualche bella manifestazione doom (ricordiamo, tra le più recenti, i 1782), fino a dei fuoriclasse dell’emo italiano come i Quercia e al raffinatissimo jazz-folk cantautorale di Daniela Pes.
I Lera si inseriscono in questo panorama con una proposta che, pur non esplorando luoghi del tutto ignoti, accompagna l’ascoltatore in posti in cui è bello tornare, seguendo un tragitto abbastanza personale e graziato da un elegante bouquet di influenze. Difficile incasellarli in un genere preciso: la collocazione più ovvia sarebbe tra il post-metal e il post-rock, ma nella musica del quartetto cagliaritano risuonano anche doom, shoegaze, drone e perfino un accenno di pop d’autore. In ogni caso, il modo migliore per conoscerli è ascoltare il loro bel disco di debutto, “Rêverie”.
In “Rêverie”, usando un’immagine un po’ inflazionata, convivono armoniosamente cuore e ragione. La ragione si apprezza in alcune scelte evidentemente ponderate, come l’alternanza regolare di brani ‘canonici’ e digressioni che galleggiano tra l’elettronica e lo strumentale; o come le misteriose allusioni numeriche che a quest’ultime fanno da titolo (la chiave è che 78, 217 e 579 sono tutti parte delle terne pitagoriche? “C-14” è un riferimento al radiocarbonio, usato per datare i reperti organici? La ricerca di una soluzione potrebbe essere parte dell’esperienza di ascolto).
Il cuore è invece enfatizzato dalla carica emozionale che riecheggia lungo tutto l’album, ora più delicata, ora più cupa, ma sempre sfumata, morbida, avvolgente.
Ma passiamo alla sostanza: invertendo un generico trend delle tracklist, “Rêverie” apre con il brano dal minutaggio più ambizioso, “Dead Flowers”. Qui, si viene guidati attraverso un’ampia anticamera strumentale ad uno sviluppo che richiama gli Anathema e gli A Perfect Circle, ben rivistati attraverso una lente post-rock e shoegaze. Si distingue già in questa sede la buona performance della cantante Aurora Atzeni, che sembra unire Maynard James Keenan ed Emma Ruth Rundle.
L’influenza dei progetti di Keenan si avverte anche nella valida “Döppelganger”: stavolta siamo più in zona Tool, in un ideale e riuscito accostamento a Björk che unisce un solido riff portante ad atmosfere filosofeggianti.
Le inclinazioni più smaccatamente doom dei Lera emergono invece con forza in “Sonder”, con il basso di Nicola Olla in evidenza, per poi tornare nel sottobosco delle stratificazioni compositive in “Of Lights And Shades”. Quest’ultimo brano è forse uno dei più interessanti di tutto il platter, in cui reminiscenze dei Messa ma anche di una messa si coniugano in un interessante blend di doom, post-metal e suggestioni vagamente ecclesiastiche.
Questa è, in breve, la parte davvero ‘masticabile’ di “Rêverie” che però, come già accennato, si muove tra materia e rarefazione. Definire le aperture strumentali come dei meri riempitivi sarebbe riduttivo: potrebbe funzionare di più qualcosa come ‘capsule di atmosfera’ o ‘parentesi oniriche’, anche perché ciascun intermezzo manifesta una personalità ben definita. “78” è un curioso incontro tra una colonna sonora lynchiana e i Mogwai, con un tintinnio di campanelli che rimandano sottilmente alla tradizione isolana; “217” lavora di percussioni e rarefazioni synth; “C-14” introduce sonorità che ricordano interferenze e ronzii elettrici.
Se da un lato questa costruzione dell’album enfatizza la delicatezza di “Rêverie”, dall’altro rischia però di renderlo anche più volatile: in un lavoro di questo genere, infatti, il gioco di ‘vuoti e pieni’ finisce per sottrarre qualcosa al discorso, tanto che “Rêverie” sembra per certi versi un lungo EP. Più probabilmente, è solo un album col quale i Lera stanno prendendo le misure per il passo successivo che, viste le premesse, si preannuncia senz’altro meritevole di attenzione.