6.5
- Band: LIFE OF AGONY
- Durata: 00:40:29
- Disponibile dal: 28/04/2017
- Etichetta:
- Napalm Records
- Distributore: Audioglobe
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A dodici anni di distanza dal precedente album, anni segnati inevitabilmente dalle vicissitudini personali del frontman Keith Caputo, divenuto nel frattempo Mina, ecco finalmente il nuovo lavoro dei Life Of Agony, in formazione originale. Se le sporadiche apparizioni live con cui la band di Brooklyn ha rodato il suo ritorno sulle scene non sono apparse troppo convincenti, questo “A Place Where There’s No More Pain” risulta complessivamente un lavoro piacevole; i fasti del passato più remoto sono inevitabilmente lontani, l’impatto sonoro e l’approccio complessivo rimandano molto più al ‘Seattle sound’ e al periodo di “Soul Searching Sun”, ma c’è decisamente del buono. Mina Caputo resta una cantante dalle doti notevoli, anche se la mancanza del tono baritonale caratteristico della band, scomparso per evidenti ragioni fisiologiche, si fa sentire. Resta la qualità dei pezzi, che sanno alternare gran tiro – come la title-track, col suo ritornello accattivante e la ritmica trascinante – ai loro caratteristici riff in chiave quasi doom: ne è esempio “Dead Speak Kindly”, impreziosita anche da un uso (non smodato) del vocoder. “A New Low” è forse il brano più nostalgico e insieme più riuscito, grazie a una linea vocale coinvolgente e un basso pulsante, che paiono poter portare indietro le lancette al 1993, e a quel capolavoro di “River Runs Red”. Se abbiamo già detto di un vago richiamo grunge, distillato in salsa Alice In Chains, sono curiosi certi echi dei loro concittadini Anthrax dell’era John Bush, come in “World Gone Mad” o “Song For The Abused”, brani caratterizzati da ritmiche graffianti e stop-n-go. Ci sono anche momenti più intimistici, su tutti il finale affidato alla struggente “Little Spots Of You”: tre minuti di piano e voce con coda di malinconici fruscii, che portano quasi alla mente Bowie. Per il resto, ci sono più o meno tutti gli elementi che hanno costruito il trademark dei Life Of Agony, solo declinati con qualche debolezza; l’incedere lento e ipnotico trasfigurato in improvvise accelerazioni, che tanto bene funzionava in passato, è qua e là un po’ troppo di mestiere e lascia diversi passaggi incompiuti (la promettente “Bag Of Bones” su tutte). Ma è comunque un mestiere che mostra di esserci ancora, e che permette di considerare ragionevolmente questo come un album di passaggio abbastanza riuscito.