6.5
- Band: LIMP BIZKIT
- Durata: 00:49:36
- Disponibile dal: 28/06/2011
- Etichetta:
- Interscope Records
- Distributore: Universal
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Polvere, fame, rabbia, trionfo (artistico), trionfo (commerciale), scazzi, tonfo, ancora polvere, tregua…Si potrebbe riassumere così, come per mille altre band milionarie, la parabola dei Limp Bizkit. Esplosi a fine ’90 con un paio di dischi tra i migliori dell’allora nascente scena nu metal (“Three Dollar Bill Y’All”, “Significant Other”), definitivamente consacrati profeti della MTV generation con “Chocolate Starfish…” e poi caduti in un prematuro oblio, inframezzato da un paio di flop (“Results May Vary”, “The Unquestionable Truth”) e tanto gossip, prima dell’inevitabile reunion. Appianati i vecchi dissapori in nome del sempreverde Zio George, Fred Durst, Wes Borland e compagni tornano con “Gold Cobra”, preceduto da un’attesa seconda solo a “Chinese Democracy”, ed è come tornare indietro di una decina di anni: cazzo-figa-culo-tette come se piovesse, New Era girate all’indietro, canotte griffate NBA, Lamborghini gialle, chitarrone ribassate, scratch, strofe rappate e tutto il campionario di tamarraggini assortite. Fermare le lancette dell’orologio non significa arrestare lo scorrere del tempo, lo sappiamo; eppure, sarà la nostalgia per chi quelli anni li ha vissuti da adolescente o l’arrivo dell’estate, la formula sembra funzionare ancora. Dopo il riscaldamento con l’immancabile intro (“Introbra”) e l’incisiva “Bring It Back”, si comincia a fare sul serio con la title track, preludio alla tripletta migliore dell’album: “Shark Attack”, “Shotgun” e “Douche Bag” sono quanto di meglio i Bizkit del 2011 hanno da offrire e, pur senza riuscire a competere con i classici del passato, sono pronte a trasformare il palazzetto in una centrale elettrica grazie all’energia cinetica sprigionata dagli astanti. Sparate le migliori cartucce – letteralmente, a giudicare dal caricatore campionato del fucile al pompa di “Shotgun” – la seconda metà dell’album inizia però a mostrare la corda: le più intimiste “Walking A Way” e “Loser” strappano qualche sbadiglio, “90.2.10” parte tirata ma si sgonfia come le tette di Pamela Anderson, così come “Why Try” e “Killer In You” nulla aggiungono a quanto sentito finora; da salvare nel Lato B resta quindi solo “Autotunage”, tanto ironica nel prendere in giro i rapper della West-Coast quanto efficace grazie ad un ritornello da cantare sullo stile di “Rollin'”. Un’attesa tanto lunga avrebbe probabilmente meritato qualcosa in più ma, visto lo stato di liquefazione in cui versava il biscotto inzuppato, “Gold Cobra” ha comunque l’effetto di un paio di pillole azzurre e permette ai nostri di rimettere in piedi il carrozzone targato Limp Bizkit, per la felicità di milioni di adolescenti di ritorno.