6.5
- Band: LIMP BIZKIT
- Durata: 01:09:37
- Disponibile dal: 22/09/2003
- Etichetta:
- Interscope Records
- Distributore: Universal
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Rieccoli qua! Finalmente di nuovo tra noi! Uno dei gruppi più odiati dai metallari di tutta Italia (se non il più odiato in assoluto), la band porta-bandiera di quel saltellante virus, nonché acerrimo nemico della musica heavy, chiamato “nu-metal”, la compagine creata, capitanata e dominata dal caratterino mutevole dell’ormai “prezzemolino” Fred Durst: ladies and gentlemen…i Limp Bizkit! Si potrebbe scrivere un romanzo sulle vicissitudini che hanno portato i Bizkit alla composizione di questo disco, oppure descrivere con minuziosi particolari l’evolversi di una carriera musicale fin’ora priva di cedimenti e/o passi falsi (almeno a livello commercial-economico)…ma in questa sede, si è deciso di parlare solo e unicamente della musica contenuta in “Results May Vary”, in quanto tutto il contorno extra-musicale, la pletora di voci e gossip continui attorno a Durst, l’atteggiamento supponente e sfacciato di quest’ultimo, la minima importanza che va ad assumere la presenza dei restanti componenti del gruppo (chissà perché il chitarrista Wes Borland ha deciso di andarsene?), sono cose talmente sapute e risapute che è davvero inutile stare a sottolinearle. Per cui, si potrebbe iniziare col dire che i Limp Bizkit hanno composto il disco più serio, intimo e personale della loro carriera: dopo la sbornia di canzoni-fotocopia e di rap-metal ovvio e banale dell’ultimo “Chocolate Starfish And The Hot Dog Flavoured Water”, era doveroso per i Limp cambiare registro; non essendo proprio l’ultimo arrivato, Durst ha deciso così di sterzare verso sonorità più tranquille, ancora più mainstream direi, mettendo da parte quella strafottenza tipica degli act nu-metal che più si avvicinano all’hip-hop (leggi: Crazy Town e simili). Inoltre, un netto aumento della varietà di soluzioni adottate ha portato i cinque ad allargare il proprio raggio d’azione, andando così a lambire i lidi di generi che, un tempo, Fred & Co. vedevano con il telescopio. A sentir le dichiarazioni del frontman, l’ingresso del nuovo chitarrista Mike Smith (proveniente dagli Snot) sembra esser stato di notevole importanza, avendo fornito nuove idee e riff “spettacolari” al già adrenalinico estro compositivo dei Bizkit: sinceramente, si potrebbe obiettare di tutto e di più, ma è innegabile che il songwriting di “Results May Vary” sia più vario, piacevole e ricercato di quanto abbia fatto in precedenza la band (rammentiamo, comunque, che il primo “Three Dollar Bill, Y’All $” è e rimane un “signor album”). Quello che più stupisce, sul serio invece, è l’utilizzo che Durst fa della propria voce, dimostrandosi a suo agio anche nei pezzi più intimisti, senza tener conto del netto calo di “fucking” e “motherfucker” che avevano proprio rotto le “cosiddette”! Nel disco non mancano, però, 2-3 song che avrebbero potuto anche non essere inserite, in quanto noiose e solamente riempitive, ad esempio “Build A Bridge”, “Almost Over” e “Let Me Down”, mentre fanno bella mostra di sé la deftonesiana “Underneath The Gun” e “Down Another Day” (che strizza l’occhio agli Staind in più di un passaggio); il singolo “Eat You Alive” è già in rotazione su MTV e dimostra la maggior apertura verso la melodia che sembra essere la chiave per capire il nuovo corso Limp Bizkit. Nulla di eccezionale, si direbbe: nell’album infatti funzionano meglio brani quali “The Only One”, nel quale un riff à la Godsmack incontra il cantato cadenzato di Durst, oppure “Head For The Barricade”, un pezzo che, mimetizzato tra altri più pacati, fa la figura dell’hit schiacciasassi. Il resto si assesta su livelli decenti, mantenendo costante quell’impressione di maggior ricerca e sperimentazione che avvolge tutto “Results May Vary”, escludendo “Gimme The Mic”, l’unica parentesi debitrice in toto del vecchio sound. La cover di “Behind Blue Eyes” degli Who, c’è da scommetterci, sarà uno dei pezzi forti delle esibizioni live dei Bizkit. Infine, immancabile e da dimenticare, il solito siparietto “hip-hop da balera” di “Red Light – Green Light”. Insomma, un album di quelli scaltri e furbi, in cui il personaggio Fred Durst trova forse la sua attuale dimensione reale, un disco che non mancherà di “sfondare” in televisione, relegando i “nemici” Linkin Park in secondo piano. O piacciono o non piacciono, inutile cercare vie di mezzo per questa band…saprete già cosa fare, quindi! Ascoltabile.