7.5
- Band: LINDEMANN
- Durata: 00.45.02
- Disponibile dal: 23/06/2015
- Etichetta:
- Warner Bros
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Il progetto Lindemann nasce dallo stato di ibernazione dei Rammstein, durante il quale il palestrato frontman decide di seguire le orme del compagno Richard Kruspe (di nuovo in piasta con gli Emigrate) e dar sfogo al proprio estro perverso assieme all’amico Peter Tägtgren (Hypocrisy, Pain). Come possono testimoniare la scelta del nome e le prime dichiarazioni (“E’ uscita l’unica cosa che potevamo fare”, ha dichiarato lo svedese) non siamo a contemplare terre ignote ed orizzonti lontani e nemmeno a ridefinire i confini del metal: è chiaro da subito che l’impasto è fatto puramente dalla somma dei contributi artistici dei componenti, anche chi scrive infatti al primo ascolto ha pensato “esattamente quello che mi aspettavo”. Non è del tutto corretto però equiparare automaticamente una somma algebrica ad una delusione: la storia ci insegna che anche un tostapane, abbinato alla forma del casco di Darth Vader, può trasformarsi in una figata. Dopo la preview in streaming – con la conseguente qualità e potenza di suono – ascoltando l’album finito la sentenza è stata presto ribaltata. Andando volutamente sul sicuro il tedesco porta con sè i temi controversi, amati dal suo pubblico, e li affronta nella quasi totalità dei casi con leggerezza, andando a far volutamente schifo in un viaggio dai contenuti fortemente sessuali tra il perverso, il deforme, il depravato e il bizzarro. Ovviamente la scelta del cantato in inglese può solo amplificare la resa dei deprecabili e vomitevoli contenuti, sottolineando il lato più goffo, infantile ed ironico delle costruzioni verbali risicate, declinate negli stilemi più tipici del baritono biondo, con plurimi riferimenti ai Rammstein. Il Jack Sparrow svedese è sacrificato solo all’apparenza: dai The Abyss Studios esce una produzione pomposa e sfavillante, che sottolinea chitarre e synth nelle strofe per arrivare quasi sempre a ritornelli grandiosi ed epici, andando a rinfrescare l’ascolto con riffoni graffianti, groove ribassati, riff marziali ma anche con svarioni sinfonici, sbandate aliene e intermezzi EBM/EDM. Undici pezzi fatti bene che puzzano di sesso e lasciano una nausea da avvelenamento, un party album senza ambizioni elevate che verrà ricordato come un episodio felice: “Skills In Pills” non è una pietra miliare ma finirà in un sacco di playlist e, chissà, forse anche in qualche classifica di fine anno.