LINGUA IGNOTA – Sinner Get Ready

Pubblicato il 29/08/2021 da
voto
8.0
  • Band: LINGUA IGNOTA
  • Durata: 00:55:30
  • Disponibile dal: 06/08/2021
  • Etichetta:
  • Sargent House

Spotify:

Apple Music:

Che si corra il rischio di ripetersi, dopo dischi di livello come “Caligula” e uno status accresciuto come un tempio in proprio onore, sembrerebbe certamente naturale. Eppure, a conti fatti, con il nuovo “Sinner Get Ready” Krystin Hayter riesce nell’ardua impresa di continuare a brillare di luce propria e confermare il suo valore di compositrice autentica.
Invertendo le tonalità di Caligula in qualcosa di meno ostico all’ascolto,  il discorso portato avanti dal progetto Lingua Ignota resta pienamente funzionante e convincente, avvalendosi di un fascino ancora più minimale e di una capacità narrativa ancora una volta torrida ed oppressiva, arrivata ad uno spettro più largo rispetto alla precedente vetta compositiva. L’idea dell’ineluttabilità della vita (e della morte, dunque) in questo disco – seppur sbiadita e in tonalità molto meno roboanti rispetto al precedente – è parimenti annichilente. Uomini e cani subiscono la medesima sorte, condannati a bastonate e brutture, in una ruralità che di bucolico mostra quasi nulla. I timbri appalachi, il banjo e gli innesti di predicatori e materiale sonoro vario contribuiscono a creare l’atmosfera americana della religiosità paesana (come nella mirabile nenia folk “Man Is Like A Spring Flower”), ma l’efficacia del songwriting della Hayter attribuisce al tutto un carattere meditabondo e devastante, dalla carica d’insofferenza meno esplicita che in “Caligula”, ma parimenti disarmante. La violenza sembra ancora una volta il mezzo con cui manifestare il dolore, ma questa volta la portata umana supera l’individuo specifico e assurge a condizione esistenziale totale. Ed è forse questo il merito più importante del nuovo lavoro della Hayter, non bissando un solipsismo che avrebbe potuto risultare pesante (in tutti i sensi), ma riuscendo a fare ciò che si chiede ai cantautori: parlare a tutti.
Allontanandosi – ma giusto di un poco – dalla dea Jarboe, e restando nei pieni territori del lirismo da musica classica, sembra che un songwriting arricchito da un piglio del Nick Cave più biblico e selvaggio abbia donato nuova linfa specifica e che abbia portato la Hayter a parlare della vessazione dell’umanità, e non solo della sua.  La vera e propria murder ballad di “Pennsylvania Furnace”, infatti, racconta di come un fabbro abbia gettato i suoi cani nella fornace, esemplificando come uomini e cani fungano da medesimo materiale per parlare dell’ineluttabilità dell’esistenza, soprattutto nei confronti di un Dio impalpabile, lontano, eppure giudice inesorabile delle vicende terrene. Ed è una terra che, pur restando rurale come i territori descritti, non ha nulla di bucolico. “Perpetual Flame Of Centralia” è un’altra piccola perla suadente, tanto romantica da risultare intrisa di una quasi rassegnazione sepolcrale, contenendo un importante significato per questa opera: la vita è come una canzone. “Life is a song, a song / And the fires of hell burn long and dull / Life is a song, a song/ And the raging fires of hell burn long“.
“I Who Bend the Tall Grasses” è uno di quei pezzi per cui si necessita una personalità fortissima (e anche di un bel pelo sullo stomaco). Reggere un’intensità espressiva così opprimente, retta perpetuamente da un organo e sistri vaganti, è infatti, ancora una volta, una prova degna di nota, soprattutto se dietro a questo dolore esistenziale esiste un baluginio lontano in qualche modo, se non di salvezza, almeno di pace. La Hayter questa volta opta per un’angoscia meno trasparente e riesce ancora una volta a categorizzarsi come uno dei punti più alti di ciò che il cantautorato che ruota intorno alla musica estrema (sia essa post- qualcosa o altro ancora). Arricchito sì con i giochi d’armonia sottili e le consuete modulazioni vocali tra maggiore e minore, raramente un disco con un tale minimalismo strumentale riesce ad illuminare parti così recondite dell’anima, prendendosi  tutto il tempo necessario per approfondire l’introspezione su questo Dio, arbitro inevitabile, di cui si racconta la confessione a pianoforte: «Io e il cane moriamo insieme». Il canto, tanto disarmante quanto meravigliosamente sofferto, diventa la fonte più pura di cui si abbevera il progetto Lingua Ignota, ancora una volta. L’inferno personale diventa di tutti e il tocco del male, ancora una volta, appare crepato da quel fascino oscuro che non pare avere eguali nelle produzioni di oggi. Non solo un ascolto, ma ancora una volta un’esperienza, non ostica come “Caligula” ma altrettanto devastante.

 

TRACKLIST

  1. The Order Of Spiritual Virgins
  2. I Who Bend The Tall Grasses
  3. Many Hands
  4. Pennsylvania Furnace
  5. Repent Now Confess Now
  6. The Sacred Linament Of Judgment
  7. Perpetual Flame Of Centralia
  8. Man Is Like A Spring Flower
  9. The Solitary Brethren Of Ephrata
0 commenti
I commenti esprimono il punto di vista e le opinioni del proprio autore e non quelle dei membri dello staff di Metalitalia.com e dei moderatori eccetto i commenti inseriti dagli stessi. L'utente concorda di non inviare messaggi abusivi, osceni, diffamatori, di odio, minatori, sessuali o che possano in altro modo violare qualunque legge applicabile. Inserendo messaggi di questo tipo l'utente verrà immediatamente e permanentemente escluso. L'utente concorda che i moderatori di Metalitalia.com hanno il diritto di rimuovere, modificare, o chiudere argomenti qualora si ritenga necessario. La Redazione di Metalitalia.com invita ad un uso costruttivo dei commenti.